ROMA – Insieme ai rimborsi parziali per le mancate rivalutazioni, Matteo Renzi ha annunciato un po’ a sorpresa che è intenzione del Governo modificare la legge Fornero per rendere più flessibile l’uscita dal lavoro.
Se una donna a 61, 62 o 63 anni – ha spiegato – vuole andare in pensione due o tre anni prima, rinunciando a 20-30-40 euro, per godersi il nipote anziché dover pagare 600 euro la baby sitter, bisognerà trovare le modalità per cui, sempre con attenzione ai denari, si possa permettere a questa nonna di andarsi a godere il nipotino. Le normative del passato sono intervenute in modo troppo rigido.
Non è il solo Renzi a voler tornare indietro all’epoca pre-Fornero. Tanto è vero che Cesare Damiano, ex ministro del Welfare ed esponente della sinistra “responsabile” del Pd, considera le parole del premier “musica per le nostre orecchie”, anche per risolvere alla radice il problema degli esodati. L’assunto è semplice a dirsi: puoi andare prima in pensione se ti va rinunciando però a un pezzo di assegno futuro, senza aspettare 66 anni e tre mesi e almeno 20 di contributi (oppure 42 anni e mezzo di contributi).
Tuttavia, in concreto e considerando la sostenibilità finanziaria dell’operazione, anche solo prendendo a riferimento la proposta di Cesare Damiano in merito, la penalizzazione economica in cambio dell’uscita anticipata è un bel po’ più onerosa di quanto speri Renzi. Roberto Giovannini su La Stampa misura la reale portata del costo per le casse pubbliche e di quanto ragionevolmente dovrebbe sacrificare chi sceglie di lasciare prima il lavoro. Senza contare l’ostacolo della Ue che, “ottusamente”, considera solo le poste di bilancio annuali e non gli eventuali risparmi sul lungo termine.
C’è una ragione, infatti, se di «flessibilità pensionistica» se ne parla tantissimo da anni, ma si fatica a realizzarla: costa tantissimo. Il premier ha parlato di un taglio della pensione di «20-40 euro» al mese. Ma secondo quanto prevede il progetto di legge Damiano-Baretta (Pd) (che inserisce a partire dai 62 anni di età una penalizzazione del 2% per ogni anno di anticipo, e dà un premio per chi ritarda), la «nonna» su una pensione da 1000 euro incassata a 61 anziché a 66 anni dovrebbe perderne almeno 100. E secondo la Ragioneria generale, in ogni caso per lo Stato ci sarebbe un maggior onere di 5 miliardi l’anno.
Se il taglio invece fosse proporzionale, o «attuarialmente equivalente» (ovvero, senza far perdere soldi all’Erario) la riduzione dell’assegno per chi vuole andare in pensione prima della data fatidica imposta dalla riforma Fornero sarebbe molto più alto. Avremmo pensionati «giovani» poveri, che resterebbero tali per tanti anni. Come spiega un grande esperto di pensioni come Giuliano Cazzola, «a metà secolo ci saranno più over 80enni che ragazzi con meno di 14 anni». (Roberto Giovannini, La Stampa).