ROMA – Cosa sarà deciso contro i pensionati nel Consiglio dei Ministri che si riunisce lunedì 18 maggio 2015 a mezzogiorno per occuparsi di pensioni? Per i pensionati c’è un’unica certezza: che Matteo Renzi e i suoi diligenti funzionari stanno studiando tutti i modi possibili per fregarli, con una differenza: che i funzionari sono come killer assetati del sangue dei pensionati e vogliono andare avanti al più presto, prima che partano i ricorsi per imporre l’applicazione della sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato fuori legge il blocco della perequazione; mentre Matteo Renzi non può permettersi di non vincere in modo trionfale le elezioni regionali, il 31 maggio, mentre la sua leadership è scossa da polemiche e scandaletti e quindi intende applicare ai pensionati la legge di Letta: “Enrico stai sereno” adattata in “Pensionati state sereni”, il colpo arriva dopo le elezioni.
Quel che sta succedendo in Italia è molto grave: viene messa in discussione, nelle sedi auliche, e sbeffeggiata, sui giornali e nella piazza dei media, la Corte Costituzionale, organo di suprema garanzia dei cittadini, valore fondante dell’Italia unita e poi della Repubblica. A violare i principi della Costituzione ci pensava il Re Bomba, Ferdinando II, re delle due Sicilie. Nemmeno Mussolini arrivò mai a tanto.
Per il Governo la cosa migliore che potrebbero fare i pensionati è un suicidio di massa, in modo da eliminare quel fastidioso obbligo di pagare ogni mese le pensioni lasciando nella pancia dello Stato, per sprechi e ruberie assortiti, quello che hanno versato in decenni di lavoro. Lo facevano anche, ai tempi di Augusto, i ricchi romani caduti in disgrazia: si tagliavano le vene immersi in un bagno caldo e lasciavano l’Imperatore erede di loro beni.
Non potendo muoversi con la libertà di cui godeva Augusto, Matteo Renzi cerca di imitarlo il più possibile e Enrico Marro sul Corriere della Sera svela il disegno:
“Nonostante la Corte abbia bocciato il blocco dell’indicizzazione deciso dal governo Monti per il 2012-2013 per gli assegni superiori a 3 volte il minimo (1.443 euro lordi nel 2012), non verrà restituito tutto il mancato adeguamento a tutti gli aventi diritto”.
Andrea Bassi spiega, sul Messaggero, cosa laceri gli animi di Matteo Renzi e del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Sono totalmente d’accordo sull’obiettivo, quello di fregare i pensionati, divergono sui tempi, subito o dopo il 31 maggio e, in apparenza, sulle motivazioni: tecnico bilancististiche Padoan, comunisteggianti (sembra di vivere il diretta Nel vicolo Protocny, dove Ilja Ehrenurg descrive i progressivi effetti della Rioluzione d’ottobre) e peroniste, convergenti comunque nello scopo di fottere i pensionati:
“Dalla sua Padoan ha l’argomento che senza una soluzione immediata, Bruxelles potrebbe negare la flessibilità sui conti per il 2016 costringendo il governo ad una manovra correttiva da 6 miliardi. Dall’altro lato c’è Matteo Renzi, convinto che la soluzione ipotizzata da Padoan potrebbe avere impatti sulle prossime elezioni regionali. Meglio rimandare a dopo le regionali del 31 maggio. In realtà non è solo questo. I suoi consiglieri economici, o almeno alcuni di loro, sono del parere che usare le poche risorse che ci sono per aumentare pensioni non proprio al minimo, e tra l’altro calcolate con il generoso metodo retributivo, non sia la scelta più giusta”.
Cosa succederà in quella riunione di lunedì 18 maggio nessuno è in grado di dirlo, anche se per ora sembrano esserci due alternative: o il Governo decide qualcosa oppure rinvia a dopo le elezioni. La gran parte dei giornali propende per il rinvio, Repubblica dà per certo che qualcosa decideranno.
Intanto le forze della reazione, intesa come reazione alla legalità costituzionale imposta dalla Corte e contestata dagli emissari del Tesoro, sono scatenate. Improvvisamente spunta fuori gente che vuole rinunciare ai propri diritti in nome della solidarietà. Ma guarda un po’, perché non ci avevano pensato prima? Una cosa è l’elemosina, una cosa è il rispetto della Costituzione e dei propri diritti. Uno dei suoi soldi può fare quello che vuole, Giuliano Amato, grande nemico dei pensionati, ha detto che un po’ delle sue tante pensioni le dà in beneficenza. È una sua scelta e Amato non lo ha reso pubblico per indurre altri a fare lo stesso ma perché coinvolto in una polemica in cui era nella parte dell’accusato.
Solo Repubblica, sempre più nel ruolo di portavoce del Governo e tromba del Tesoro, sostiene che il Consiglio dei Ministri deciderà qualcosa, per la penna di Goffedo De Marchis e Roberto Mania, i quali attribuiscono a Matteo Renzi queste precise parole:
“Non siamo la vecchia politica. Dobbiamo prenderci le nostre responsabilità. Dobbiamo decidere e lo faremo”.
Matteo Renzi avrebbe parlato in questo modo nel corso di “una riunione ristretta a Palazzo Chigi”. sono parole che, sostengono Goffedo De Marchis e Roberto Mania,
“fanno capire che il governo non aspetterà che si svolgano le prossime elezioni regionali (il 31 maggio) per approvare il decreto con lo scopo di depotenziare gli effetti della sentenza della Corte Costituzionale sulle pensioni”.
Infastidisce la lotteria dei numeri:
“Senza decreto salterebbero i conti pubblici: un buco di oltre 10 miliardi di euro, quasi un punto di Pil”.
Ma non erano massimo 5 lordo tasse? E cosa sono 5 miliardi? Il valore di cui aumenta il debito pubblico in Italia ogni mese: ma allora gli altri miliardi? I pensionati sembrano innocenti.
Per la serie “state sereni” Repubblica butta lì che
“gradualmente e parzialmente si dovrà trovare una soluzione per restituire ai pensionati il mancato adeguamento all’inflazione deciso dal decreto “Salva Italia” del governo Monti. E Palazzo Chigi vuole che questa decisione arrivi entro la prossima settimana. [intanto] una riunione tecnica (ministeri, Ragioneria, Inps) a Palazzo Chigi. Servirà a preparare il Consiglio dei ministri di lunedì: una riunione tecnica convocata di domenica sera dimostra che già lunedì si potrebbe arrivare ad una decisione. […] Il vertice tra i tecnici dovrebbe sciogliere i vari nodi (finanziari e normativi) e passare poi il testimone alla politica. Dunque a Renzi che non può non avere messo in conto che in ogni caso “l’affaire pensioni” gli sottrarrà voti alle prossime regionali: da chi verrà escluso dal rimborso, nel caso di un decreto prima del 31 maggio; da chi sospetterà conseguenze negative nel caso di un rinvio della decisione. Renzi sembra ormai aver sciolto questo dilemma politico, mentre il suo ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, che martedì illustrerà alle commissioni parlamentari l’orientamento del governo, ha imboccato fin dall’inizio la strada di una decisione rapida. L’ha garantita anche ai commissari di Bruxelles quando ha incassato il via libera europeo sul piano triennale italiano per il risanamento finanziario”.
Confermando l’orientamento socialperonista,
“il Governo pensa che debbano essere risarciti i pensionati che appartengono alle fasce di reddito più basso. Renzi questo l’ha detto esplicitamente. Gli altri dovranno capire che il sacrificio che viene loro richiesto è dentro una logica di solidarietà intergenerazionale. Negli anni della lunga recessione i pensionati (come i lavoratori stabili del pubblico impiego) non hanno perso il proprio reddito, diversamente dalle migliaia di lavoratori privati che si sono trovati senza occupazione. Chi resterà fuori dall’operazione restituzione comunque non perderà un euro rispetto a quanto riceve ora”.
A leggere queste parole uno non sa capacitarsi. Le pensioni non sono una elargizione dello Stato, sono soldi estratti dalle buste paga e dalle casse delle aziende, messi da parte per il futuro. Se Renzi ha davvero la faccia di dire che non toglie nulla rispetto al presente i 5 milioni di pensionati coinvolti ci pensino bene prima di votare Pd. Quanto a Repubblica, che si presti a operazioni del genere c’è poco da die: troppo è l’imbarazzo.
Goffedo De Marchis e Roberto Mania spiegano cosa avrebbe in testa Matteo Renzi: solo dei
“mini-rimborsi e per alcune fasce reddituali, venendo incontro anche alle indicazioni della Consulta. Sembra assodato il limite di costo: non più di tre miliardi di euro, per la cui copertura arriverà anche il famoso “tesoretto” frutto della differenza tra il deficit programmatico e quello tendenziale. Ci sarà anche un tetto relativo all’importo: 5-6 volte il trattamento pensionistico minimo, pari a circa 2.500-3.000 euro lordi al mese. Oltre, quindi, non si riceverà nulla. La Corte stessa ha accettato nel passato di escludere le pensioni pari a 8 volte il trattamento minimo. Il meccanismo individuato prevede una forma di decalage: fino a 1.500 euro il recupero dell’inflazione sarà totale, oltre scenderà progressivamente. [Oppure] un meccanismo meno costoso ma non proprio coerente con la sentenza della Corte Costituzionale: rimborso sul reddito complessivo dei pensionati tra 1.500 e 3.000 euro con percentuali basse (si partirebbe dal 50 per cento) e progressivamente discendenti con il crescere del reddito”.
Sul Sole 24 Ore Davide Colombo cita il grande amico dei pensionati, il sottosegretario alla Economia Enrico Zanetti, che
“ha auspicato un provvedimento in più tappe: «Lunedì le linee guida e, più avanti, il decreto. Meglio prendersi più tempo per costruire una gradualità dei rimborsi, che tenga conto non solo dell’assegno ma anche dei contributi versati».
“Lo schema del provvedimento dovrebbe partire da una retrodatazione al 2012 del meccanismo di perequazione introdotto dal Governo Letta per il 2014-2016. Magari con qualche ritocco sulle soglie. Per i pensionati sopra le tre volte il minimo scatterebbe il ricalcolo con indicizzazioni parziali e decrescenti al salire dell’assegno fino a una soglia (probabilmente attorno a 3 mila euro lordi, cioè sei volte il minimo) oltre la quale verrebbe riconosciuta una quota fissa minima. In pratica meno di un milione di pensionati non verrebbe così rimborsato se non simbolicamente.
Secondo questo meccanismo la rivalutazione non sarebbe su scaglioni ma sull’intera pensione: se per esempio si decide un’indicizzazione al 90% fino a 2mila euro questa sarebbe sull’intero assegno e non solo sulla parte eccedente i 1.486 euro, fermo restando il 100% per chi si ferma a questa soglia.“Se questo venisse invece approvato subito, l’Inps potrebbe essere in grado di far partire i rimborsi con gli assegni in pagamento in luglio o in agosto perchè prima, per la tecnostruttura, sarebbe impervio garantire i ricalcoli. In agosto tutte le prestazioni verrebbero poi versate il 1° del mese, come annunciato dal presidente Tito Boeri. Nel dl ci sarà infatti la norma che consente l’allineamento (a costo zero per le casse Inps) che riguarda circa 4,2 miliardi di prestazioni, sui 20 miliardi in pagamento mensilmente, che finora scattavano il 10 del mese”.
Secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio, altra forza sconosciuta ai più che esce dall’ombra ogni tanto per colpire oggi il Governo, domani i pensionati,
“nel caso dell’ipotesi estrema di rimborso integrale degli arretrati, c’è il rischio beffa fiscale per lo Stato: l’aliquota media applicata sui rimborsi scenderebbe dal 30%, che è l’aliquota marginale applicata anno per anno sulle indicizzazioni, al 19% di aliquota media sul rimborso nel caso del “pensionato tipo” con un assegno di 3,5 volte il minimo”.
Sembra il gioco delle tre carte: certo che l’aliquota media si abbassa: entrano nel conto le fasce più basse con aliquota marginale più bassa dei livelli superiori.
Enrico Marro spiega che
“su un totale di 23,4 milioni di pensioni in pagamento, solo 4 milioni erano superiori a tre volte il minimo e quindi non sono state indicizzate. Un’ipotesi tra quelle messe a punto dai tecnici prevede di escludere dalla restituzione degli arretrati maturati le pensioni superiori a 5 volte il minimo (2.405 euro nel 2012), che erano circa un milione. Il rimborso sui restanti 3 milioni di assegni, quelli fra tre e cinque volte il minimo, avverrebbe con un meccanismo a scalare, che si azzererebbe al superamento delle 5 volte il minimo. Si potrebbe in questo modo limitare la spesa per gli arretrati fra 2,5 e 3,5 miliardi, a seconda di quanto si accentua il meccanismo a scalare.
Le altre ipotesi sono tutte molto più costose. In particolare quelle che prevedono l’adeguamento per fasce d’importo. Significherebbe cioè garantire sempre e comunque il 100% dell’adeguamento all’inflazione per gli importi fino a 1.443 euro anche per le pensioni più ricche, e poi ridurre l’indicizzazione fino ad azzerarla per gli importi superiori a cinque volte il minimo. Con questo sistema per fasce, che la Corte costituzionale nelle motivazioni della sentenza 70 giudica più equo, verrebbero però rivalutate, sia pure parzialmente, tutte le pensioni almeno sugli importi fino a 2.405 euro. Con l’altro sistema, invece, che si applica al trattamento complessivo, sarebbero rimborsate appunto solo le pensioni fra tre e cinque volte il minimo, senza trascinamenti su quelle di importo maggiore.
C’è da dire che questa soluzione, anche se consentirebbe di minimizzare il costo rispetto agli 11 miliardi di mancata indicizzazione stimati dallo stesso governo, si esporrebbe al rischio di una nuova bocciatura davanti alla Corte Costituzionale”.