ROMA – Il Governo sta preparando la grande fregatura per i pensionati in Italia e soprattutto la più grande violazione della legalità mai vista, mandando in vacca la sentenza della Corte Costituzionale sul blocco delle pensioni.
La Corte Costituzionale ha detto che il blocco della rivalutazione delle pensioni deciso da Berlusconi, Mario Monti e Enrico Letta in progressione viola i principi fondamentali della Costituzione italiana.
Secono Lorenzo Salvia del Corriere della Sera,
“il decreto messo a punto dai tecnici dell’Economia lascerebbe fuori da ogni rimborso circa 2 milioni di pensionati. Uno su tre fra quelli che si sono visti bloccare la rivalutazione. E la restituzione tenderebbe rapidamente a zero una volta superata la soglia dei 2.500 euro lordi al mese”.
Due milioni di pensionati, più mogli e figli, fa un pacchetto di 4-5 milioni di voti e Matteo Renzi pensa di non infastidirli, rinviando la fregatura a dopo le elezioni.
“Non è ancora stato deciso con quali soglie finali si sceglierà di rispondere alla sentenza della Corte”,
chiarisce Davide Colombo sul Sole 24 Ore:
“L’ipotesi di partenza resta quella di utilizzare il decalage in vigore dal 2014 al 2016 e retrodatarlo al 2012 con qualche correzione. Ma resta anche probabile il rimborso di uno solo dei due anni in questione e quella di un tetto (tra i 3 mila e i 3.500 euro o più) oltre il quale non ci sarebbero rimborsi, visto che la Consulta in passato non censurò lo stop per un anno sopra le 8 volte il minimo (3.963 euro lordi)”.
Secondo Roberto Petrini di Repubblica, quel che ha in testa Matteo Renzi è una soluzione che alla fine cercherà di svuotare e rendere vana la sentenza della Corte Costituzionale, una soluzione che eviti di sfondare il 3 per cento
“fin da quest’anno come effetto diretto della sentenza della Consulta ma anche per onorare almeno in parte il conto salato che presentano le pensioni di tre volte e mezzo il minimo pari ad arretrati di circa 3.000 euro.
“L’ipotesi sulla quale si ragiona potrebbe essere così quella di limitare ad un anno la restituzione, il 2012, (risparmiando anche sul trascinamento della norma in termini di indicizzazioni).
“Per garantire la progressività l’opzione è tra il sistema pre-blocco che prevede un meccanismo per «scaglioni» e quello attualmente in vigore varato da Letta per il 2014 per «classi». Nel sistema pre-blocco l’indicizzazione era più forte perché ogni scaglione di pensione aveva la propria indicizzazione, così anche una pensione alta, ad esempio di 3.000 euro, poteva contare di avere una indicizzazione del 100 per cento per i primi 1.400 euro, indicizzazione che via via diminuiva (questo sistema garantisce ai pensionati appena sopra le tre volte il minimo di non perdere il treno dell’indicizzazione piena).
“Il sistema Letta prevede invece una indicizzazione meno forte (tant’è che quando fu varato con la Stabilità 2014 erano previsti 5 miliardi di risparmi in tre anni rispetto al pre-blocco): l’indicizzazione si assegna per classi di reddito sull’intera pensione (e non per ciascuna quota): il 100 per cento spetta solo a chi ha la pensione di tre volte il minimo, chi cade sopra prende di meno sull’intera pensione ma è comunque parzialmente garantito.
“Entrambi i sistemi consentirebbero di recuperare la progressività rispetto al blocco totale di Monti: l’ipotesi che circola prevederebbe la conferma del 100 per cento solo per le pensioni di tre volte il minimo (che non sono mai state toccate), per poi scendere all’80 per l’intero assegno di chi prende 2.000 e 60 per cento fino a 2.500 con azzeramento per i trattamenti più alti. L’altra ipotesi, ancora meno costosa, è infine quella di rimborsare solo le pensioni superiori a 5 volte il minimo e niente sopra”.
Esegeta della Corte Costituzionale, Davide Colombo riferisce un concetto molto governativo, sostenendo che la Corte
“chiede più gradualità, adeguatezza e proporzionalità rispetto al blocco Monti-Fornero”.
E il contenuto della «Memoria Morando» illustrata dal viceministro all’Economia in Commissione Bilancio alla Commissione bilancio del Senato e citata in dettaglio da Roberto Petrini:
“Il documento interpreta la sentenza della Corte spiegando che i due punti di critica sono «temporaneità» e «progressività» (le stesse parole usate qualche giorno fa da Padoan). In sostanza per il Tesoro la Consulta ha bocciato il blocco di Monti perché troppo lungo negli effetti (due anni) e perché abolisce l’indicizzazione oltre tre volte il minimo integralmente e per tutti (anche chi ha appena 3 volte e mezzo il minimo, ovvero circa 2 milioni di pensionati) senza graduare la misura”.
Questo può valere per il futuro, ma per il passato, semplicemente devono tornare ad applicare la legge che c’era, avendo presente che non è corretto mettere avanti il fatto che
“i margini fiscali sono strettissimi vista l’intenzione del Governo di non modificare l’obiettivo di un deficit/Pil nominale al 2,6% programmato per quest’anno”.
Sa di forzatura a fini politici, in un Paese dove il debito pubblico sale ogni mese ben di più dell’effetto pensioni: solo da febbraio a marzo di 15 miliardi di euro.
Cosa farà davvero il Governo non è chiaro, perché, come spiega Lorenzo Salvia, Matteo Renzi
“è orientato a rinviare a dopo le elezioni di fine mese la soluzione del caso pensioni. La linea del rinvio presta il fianco alle critiche del leader della Lega Matteo Salvini. Ma sembra il male minore”.
Il voto è alle porte non sarebbe il massimo. I numeri rimarranno più o meno quelli esposti sopra, ma il decreto legge vero e proprio dovrebbe arrivare più in là.
C’è però da risolvere, avverte ancora Lorenzo Salvia,
“un altro problema, più urgente. Negli ultimi giorni si sono moltiplicati gli annunci di ricorso da parte di varie associazioni. Il Codacons ha parlato di class action . Dal Consiglio dei ministri di lunedì potrebbe uscire un provvedimento o anche delle semplici linee guida per «sterilizzare» indirettamente i ricorsi, dando un margine di tempo all’Inps per completare tutte le elaborazioni necessarie. Con l’impegno a garantire quel principio della progressività (dare di più a chi ha un assegno basso, meno a chi ha un assegno alto) invocato dalla Corte costituzionale”.
Ma per il futuro, come fanno a riscrivere il passato?.
Antonella Baccaro, del Corriere della Sera, riferisce lo psicodramma pensioni dal punto di vista del Tesoro:
“A settembre si regolerà solo la partita degli adeguamenti degli assegni futuri, mentre sugli anni passati s’interverrà ora con decreto. Anche per evitare che la sentenza dispieghi i suoi effetti. Come? Al Mef lo sussurrano: «Se non agissimo presto, qualsiasi pensionato incassando la prima pensione dopo la sentenza della Consulta potrebbe sentirsi in diritto di ricorrere perché la stessa non ha avuto applicazione». Un motivo di più per correre. «L’esercizio è a buon punto — ha dichiarato ieri il capo di gabinetto del Tesoro, Roberto Garofoli a margine di un convegno — e non escludo che nei primissimi giorni della settimana prossima, ci possa essere in Consiglio dei ministri l’intervento normativo». Tradotto: il Mef presenterà il decreto. Poi sarà Renzi a decidere come e quando approvarlo”.
Al fondo emerge una demagogia di stampo peronista che i pensionati possono combattere solo mettendo in campo l’arma suprema in ogni democrazia, il voto.
Quello che scrive Lorenzo Salvia fa paura:
“Il governo è orientato a un intervento parziale, circa 3 miliardi di euro sugli 11 necessari per la restituzione di tutti gli arretrati. Non è solo una questione di coperture difficili. Ma anche un tentativo di riequilibrio fra generazioni, visto che gli assegni futuri di chi oggi lavora o ancora studia saranno molto più bassi di quelli attuali”.