ROMA – Il reddito minimo garantito rientra tra le “preferenze personali” del nuovo ministro del Welfare Elsa Fornero. Che ne ha parlato, sia pure non in forma diretta, alla sua prima uscita europea. Non è quindi una proposta ufficiale maturata in seno al Governo, ma rappresenta una direzione indicativa, un progetto di lavoro. Questa misura servirebbe a integrare la ridefinizione complessiva delle protezioni e degli ammortizzatori sociali una volta affrontato il nodo del mercato del lavoro. Per esempio come come forma di integrazione al reddito dei lavoratori non protetti dagli attuali ammortizzatori sociali (collaboratori, parasubordinati).
Oltre all’Italia, solo la Grecia è sprovvista di una protezione di questo tipo. Se si immagina un reddito minimo garantito va inteso come compensazione a una maggiore flessibilità in uscita, secondo il modello di flexsecurity adottato dai sistemi di welfare scandinavi e promossi in Italia soprattutto dal giuslavorista Pietro Ichino. Svincolato dal mercato del lavoro si configurerebbe come un reddito di cittadinanza per contrastare le situazioni di estrema indigenza destinato ai giovani da 0 a 16 anni e agli over 65. Tecnicamente una forma di “imposta negativa”, cioè a carico dell’Erario.
Molto positiva è stata la reazione a sinistra (Livia Turco del Pd e Vendola di Sel). Anche gli economisti del lavoro apprezzano. Per Carlo Dell’Aringa “il reddito minimo garantito si configurerebbe di più come forma di protezione sociale a tutela delle persone non protette dagli ammortizzatori sociali e non come un indistinto reddito di cittadinanza”. Tito Boeri, fautore della prima ora, spiega i meccanismi con cui dovrebbe essere concepito: “Bisognerà considerare sia le fonti di reddito che i patrimoni posseduti dai beneficiari per evitare un uso improprio del sussidio. La misura non dovrà superare una certa soglia per la minima esistenza: fatta 100 questa soglia e già possedendo 60 il beneficiario, il contributo statale dovrebbe coprire la differenza”.