ROMA – Il federalismo all’italiana ha significato più tasse e più spese. Negli ultimi vent’anni, dal 1992 al 2012, le imposte riscosse da Regioni e Comuni sono aumentate di oltre il 500%, da 18 a 108 miliardi di euro. Nel frattempo saranno diminuite le tasse incassate dallo Stato? No, sono raddoppiate, dai 186 miliardi del ’92 ai 362 miliardi del 2012. I dati Cer-Confcommercio pubblicati da Davide Colombo sul Sole 24 Ore certificano che l’esplosione delle tasse è andata di pari passo con quella della spesa.
Venti anni fa le uscite degli enti locali ammontavano a 90,5 miliardi. Nel 2012 sono arrivate a 205 miliardi (+126%). Anche qui maggiori spese da parte di Regioni e Comuni non comportano minori spese da parte dello Stato, che nel ’92 ha tirato fuori 225 miliardi e vent’anni dopo 343,5 miliardi (+53%). La spesa corrente della pubblica amministrazione è salita complessivamente da 413 a 753 miliardi (+82,5%). Nel conto entra anche la spesa per gli interessi sul debito, che in vent’anni è diminuita del 12% e attenua il dato.
Il decentramento delle competenze non ha portato a un maggiore controllo sulle spese, anzi. Ma a fronte di un aumento esponenziale dei soldi spesi dagli enti locali, i trasferimenti dallo Stato alle amministrazioni periferiche sono cresciuti solo del 20%, da 72 a 86 miliardi. Questo spiega perché la pressione fiscale di Regioni e Comuni sui contribuenti è schizzata verso l’alto.
Senza spingersi molto in là nel tempo, basta prendere il dato del 2002 e confrontarlo con quello di adesso: in dieci anni si è quasi triplicato il peso delle addizionali regionali e comunali sull’Irpef complessiva che tassa gli stipendi: dal 4,2% all’11,2% per un lavoratore “single”; dal 5,8% al 17,1% per uno “coniugato”.
Se invece il confronto lo si fa con quarant’anni fa, quando sono nate le Regioni, come ha fatto Gianni Trovati sempre sul Sole 24 Ore, si scopre che il fisco regionale è aumentato di 30 volte. La pressione fiscale complessiva è di 138 miliardi di euro, il 9% del Pil: nel 1970 era dello 0,3%.