ROMA – Renzi, lavoro, burocrazia, Fisco: no art. 18, pubblico equiparato al privato. Non appena ricevuto l’incarico, Matteo Renzi ha annunciato una svolta immediata, uno schock programmatico che da subito affronti e rimuova gli ostacoli più grandi per rilanciare economia e occupazione e al tempo stesso definisca il profilo riformatore, politico del nuovo Governo. A parte la legge elettorale, per la quale Renzi cerca lo sprint per terminare la corsa già entro la fine di febbraio, su Lavoro, Pubblica Amministrazione e Fisco (in quest’ordine di priorità) il premier in pectore ha individuato le criticità da risolvere e scadenzato un’agenda rapida che da marzo a maggio fornisca le soluzioni previste.
Lavoro a marzo: stop art. 18 nei primi tre anni. E’ il banco di prova più importante: aumentare sensibilmente i posti di lavoro, invertire il disastroso trend occupazionale e riformare gli ammortizzatori sociali. Come? Primo, incentivando l’occupazione nei settori ad alto tasso di innovazione e ricerca: il principio (cui si è ispirato anche Obama) è quello per cui ogni posto guadagnato nella ricerca e nell’innovazione ne produce 5 nei servizi. La parola d’ordine è defiscalizzare le assunzioni dei giovani sotto i trenta: di più in ragione del tasso di innovazione, per niente nel caso di assunzioni “di comodo”, che seguano magari licenziamenti. Alle imprese rimarrebbero da versare solo i contributi previdenziali.
Il provvedimento più importante (più sensibile, politicamente) è l’introduzione del contratto a tutele progressive: nei primi tre anni di nuova occupazione verrebbe sterilizzato l’articolo 18, con facoltà per le imprese di licenziare in cambio di indennizzi crescenti a seconda del numero di ore lavorate. Il taglio alle imprese del 10% secco dell’Irap, infine, libererebbe 2 miliardi e mezzo l’anno per le assunzioni. Il Governo dovrà garantire politiche per l’impiego più efficaci attraverso la messa in rete del collocamento pubblico e privato. La riforma degli ammortizzatori sociali (cassa integrazione solo per quelle aziende che non siano decotte) permetterà di sottrarre un po’ di risorse dalla grande industria e distribuirne a chi finora è rimasto escluso. Per cui, senza cassa integrazione, i lavoratori senza lavoro beneficeranno di sussidi accompagnati a corsi di formazione e riqualificazione professionale e ove non trovassero ancora lavoro l’assistenza fornita dall’Aspi prevista dall’ex ministro Fornero. Chi non accetta i nuovi lavori perde il sussidio.
Burocrazia a aprile: dipendenti (e manager) pubblici come i privati. Il principio che ispira una riforma per rendere meno complicata e più efficiente la Pubblica Amministrazione (sciogliendo i lacci di una burocrazia opprimente) è l’equiparazione dei dipendenti pubblici a quelli privati. Infrangendo il tabù dell’intoccabilità dello statale. Le regole saranno uguali per tutti per quanto riguarda mobilità, flessibilità, orario di lavoro. Anche gli ammortizzatori sociali saranno gli stessi. Sulle controversie dipendenti pubblici e privati ricorreranno entrambi al giudice ordinario, il Tar se non verrà abolito sarà di molto ridimensionato.
I dirigenti pubblici saranno sottoposti agli stessi criteri meritocratici dei privati: se non vanno possono essere licenziati. Dopo 6 anni, in ogni caso, ogni incarico dirigenziale deve ruotare: questo è importante anche per i criteri di nomina dei manager delle aziende pubbliche. Ai magistrati verrà imposta l’esclusiva sul loro lavoro: fine delle consulenze e degli incarichi extragiudiziali nei vari organismi, enti, authorities ecc..
Fisco a maggio: meno Irap alle imprese, meno Irpef alle famiglie. Il taglio di un punto di Irpef sui primi due scaglioni (27% oltre 8 mila euro, 28% da 15 mila a 28 mila euro) non funziona perché il costo di 5 miliardi non vale la candela: vantaggi troppo distribuiti da non essere avvertiti. Si punta allora a sviluppare una manovra di aumento selettivo delle detrazioni fiscali, in particolari per i dipendenti pubblici (per i privati c’è il taglio Irap): il risparmio fiscale per le famiglie del primo scaglione (tra 8 e 15 mila euro) potrebbe arrivare a 450 euro l’anno.
Essa restituirebbe inoltre una maggiore articolazione alla curva dell’Irpef che oggi, a causa dell’effetto distorsivo delle detrazioni, nonostante veda formalmente 5 aliquote (23, 27, 38, 41 e 43%) si riduce, di fatto, a due aliquote, del 30% tra 8 e 28 mila euro e del 40% sopra. (Sergio Rizzo, Corriere della Sera)
La copertura finanziaria per questi provvedimenti (meno Irap, più detrazioni Irpef alle famiglie) è stata individuata in un aumento della tassazione sulle rendite: forse anche sui titoli di Stato, o, in alternativa, facendo pagare di più i grandi patrimoni. Il grosso, però dovrà avvenire dalla spending review: il lavoro del “potatore” Cottarelli pare sia a buon punto (avrebbe individuato 3 miliardi da liberare già per il 2014) e dovrebbe continuare con il nuovo presidente del Consiglio.
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