Che siano 200 mila, come è stato scritto, che siano 50 mila, come si deduce dalle parole del ministro Giampiero D’Alia, su un bel po’ di statali è calata l’ombra del prepensionamento.
La pensione, per non fare sballare gli effetti di una delle poche cose buone fatte dal Governo Monti, sarà loro decurtata, anche se restano due grandi tipi di incognite: la misura della decurtazione e, alla faccia di tutti i discorsi e scandali sulle pensioni d’oro, se sarà applicato, per il calcolo della pensione degli statali esodati, il metodo retributivo o quello contributivo.
Il piano esuberi per gli impiegati statali, spiega Antonio Castro su Libero,
“prende le mosse dal lavoro di indagine sulla pianta organica realizzato (in parte) sotto il governo Monti dall’attuale sottosegretario a Palazzo Chigi Filippo Patroni Griffi (ex Funzione pubblica)”.
Il nuovo ministro per la Funzione pubblica, Gianpiero D’Alia, intanto ha già
“annunciato il ricongelamento delle retribuzioni, poi ha messo in calendario la riapertura della contrattazione Aran per la «parte normativa». In sostanza, a settembre, non si parlerà di quattrini (servirebbero 7 miliardi), ma di come incardinare le nuove norme (come la mobilità) per il pianeta del lavoro pubblico”.
Questa dei soldi è in parte almeno smentita dalle intenzioni svelate dal ministro di aprire anche una trattativa di secondo livello, che vuole appunto dire contratto integrativo.
I sindacati, avverte Antonio Castro,
“sono già sul piede di guerra. Anche i più timidi e favorevoli al governo rischiano di essere schiacciati dalla base infuriata”.
I problemi aperti sono giganteschi. Gli statali interessati, quelli sopra i 57 anni,
“andrebbero in pensione molto prima dell’età pensionistica (circa 66 anni), ma vedrebbero decurtato non di poco l’assegno. Un anticipo tanto consistente – sotto il “ricatto” della mobilità obbligatoria – ha un prezzo. Che a spanne può essere declinato con la “proposta Damiano”: ogni anno di anticipo un taglio del 2% della pensione”.
C’è poi da definire il sistema di calcolo: retributivo o contributivo. Questa, scrive Antonio Castro,
“è una partita tutta da costruire a tavolino. Il ministro del Welfare Enrico Giovannini, ha annunciato più volte l’intenzione di «fare un tagliando» alla riforma Fornero. Anticipando il pensionamento – e intercettando la platea dei doppiolavoristi – si potrebbe pure far ingoiare la ghigliottina sugli assegni”.
Ma 200 o anche solo 50 mila posti
“da tagliare (tra il 2011 e il 2012 sono andati già in pensione 120 statali, risparmi 6,6 miliardi), costano anche se li si toglie dal servizio effettivo e si mettono a riposo. Lo Stato, quando gli attuali 57enni iniziarono a lavorare, non versava realmente i contributi, quindi anno per anno si iniettano quattrini nell’istituto previdenziale per far fronte ai pensionamenti dei dipendenti pubblici.
“Per il 2013 il Collegio di indirizzo e vigilanza dell’Inps (Civ) ha già ammonito chela sola gestione dell’ex ente dei dipendenti pubblici (Inpdap) «avrà un disavanzo di 7,6 miliardi», vale a dire quasi l’80% del buco Inps per l’anno in corso, stimato in 9 miliardi.
“Il ministro D’Alia, per far ingoiare la pillola, ha spiegato che risparmiando su altri capitoli (tipo le consulenze che valgono 1,2 miliardi di uscite), e sprechi è possibile racimolare qualcosa per la contrattazione di secondo livello (produttività)”.
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