ROMA – Stop austerity: si convincono anche i falchi Olanda, Finlandia, Austria. Finora il dibattito sull’austerity vedeva grosso modo due blocchi contrapposti. Serve rigore nei conti, dicono e impongono i paesi da tripla A del nord Europa. Basta con i vincoli, questo fiscal compact ci strangola, è controproducente e autolesionista, sostengono i cosiddetti Pigs, i Paesi dai bilanci fuori equilibrio del Sud Europa.
La recessione perdurante, una crescita che a parte la Germania è per tutti una chimera, modificano anche le opinioni più radicate. Il Financial Times (26 giugno) ci informa che il consenso sull’austerity sta franando tra i falchi fiscali (fiscal hawks) d’Europa, sebbene quelli di taglia più piccola.
In Olanda, il governo di larghe intese procede d’amore e d’accordo anche riguardo al passo indietro sulle politiche di rigore: in Parlamento centro destra liberale e centro sinistra laburista non ne possono più dell’austerità. Gli ultimi tagli probabilmente non permetteranno di raggiungere l’obiettivo del 3% di rapporto deficit/Pil. “Il 3% non è sacro per noi, ce ne faremo una ragione” ha sostenuto il leader laburista Diederik Samsom.
Nella società la contrarietà alle politiche recessive è alla base dell'”accordo sociale” (potremmo dire alleanza tra produttori) che lega sindacati e imprese per tentare di abbassare il 6,6% di disoccupazione, di contrastare il crollo dei prezzi delle case, di recedere dagli impegni che la stessa Olanda e i suoi alleati in Europa hanno imposto in nome dell’austerity. “Abbiamo tagliato 6 miliardi di euro? Solo perché ce lo chiede Bruxelles, non per altro”, ammette il leader dei Cristiano Democratici, Sybrand van Haersma-Buma.
In Finlandia e in Austria lo stesso fermento, la stessa strana, quasi schizofrenica consapevolezza che per uscire dalla crisi sia necessario disfarsi delle manette che ci siamo messi di nostra spontanea volontà (allo stesso modo, anche Barroso, il commissario europeo, dice che l’austerity è da pensionare).
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