La platea degli industriali che hanno partecipato sabato a Bergamo alle “Assise” di Confindustria ha applaudito Harald Espenhahn, amministratore delegato di ThyssenKrupp, condannato a 16 anni peer omicidio volontario per il rogo che, il 6 dicembre 2007, nello stabilimento di Torino del colosso tedesco dell’acciaio, ha causato la morte di sette operai. E’ successo sabato, ma le reazioni si susseguono da 36 ore.
Emma Marcegaglia, presidente della Confindustria, ha detto: “Consideriamo una condanna a 16 anni per omicidio volontario un unicum in Europa. E’ un tema che va guardato con molta attenzione, noi abbiamo grande rispetto e referenza nei confronti dei morti e delle loro famiglie però se una cosa di questo tipo dovesse prevalere potrebbe allontanare gli investimenti esteri dall’Italia e mettere anche a repentaglio, in qualche modo, la sopravvivenza del nostro sistema industriale”.
Dopo la sentenza il presidente della Thyssen in Italia, Klaus Schmitz, aveva chiesto a Confindustria di rappresentare l’azienda e reagire alla sentenza. Schmitz aveva auspicato “una riflessione su queste condanne. Siamo regolarmente associati a Confindustria e abbiamo bisogno di avere garanzie per il nostro futuro. Confindustria ci deve rappresentare, deve reagire a questa sentenza. Dall’associazione degli industriali italiani ci aspettiamo tutela e passi ufficiali”.
Quasi unanime però è stata la reazione negativa da parte delle forze politiche e sindacali per le parole della Marcegaglia e gli applaisi degli industriali. La condanna va dal leghista Roberto Calderoli ai familiari delle vittime, passando per tutte le sigle sindacali e anche per il governo nella persona di Paolo Romani, ministro allo Sviluppo Economico.
L’argomento è dei più spinosi, perché parte dalla morte atroce di sette operai, bruciati vivi nell’incendio di una linea di montaggio nello stabilimento torinese dell’acciaieria a marchio tedesco. E passa per una sentenza senza precedenti. Emma Marcegaglia l’ha definita un unicum e in questo non si può contraddirla: è stata la prima volta che si è contestato l’omicidio volontario per un incidente sul lavoro.
Andiamo a rileggerci la sentenza: l’amministratore delegato, Harald Espenhahn, è stato condannato a sedici anni e sei mesi di carcere per omicidio volontario ”con dolo eventuale”: “Ha accettato – secondo i giudici – il rischio di provocare un terribile incidente perché, sapendo che lo stabilimento di Torino avrebbe chiuso nel giro di pochi mesi, ha deciso di rinviare l’adozione di alcuni provvedimenti sulla linea 5, quella che poi andò a fuoco”. Un incendio che all’inizio sembrava piccino, controllabile, uno dei tanti focherelli che si accendono quando si lavora l’acciaio. Poi, però, ci fu un’ esplosione e un’onda anomala di fiamme (la testimonianza è dell’unico sopravvissuto, Antonio Boccuzzi) ghermì le sette vittime. L’inchiesta accertò lo ”stato di abbandono” in cui versava lo stabilimento: estintori scarichi o malfunzionanti, personale ridotto all’osso, almeno 114 violazioni delle norme sulla sicurezza. Per gli altri dirigenti, accusati solo di omicidio colposo (con ”colpa cosciente”), le pene sono solo leggermente più basse: 13 anni e mezzo per Gerald Priegnitz, Raffaele Salerno, Marco Pucci e Cosimo Cafueri, 10 anni e 10 mesi per Daniele Moroni.
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