Tremonti non “sgancia un euro” ai ministri: “La gente non mangia cultura”. Dietro di lui il fantasma del debito

Il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti

Giulio Tremonti stringe la cinghia dell’Italia e non concede “un euro” ai ministri che lo richiedono. Tranne a quelli leghisti. Nel corso dell’ultimo Consiglio dei ministri, giovedì, Tremonti ha negato i finanziamenti per Giustizia, Scuola, Ambiente e Cultura. Tanto che Berlusconi sarebbe sbottato: “Quando gli si chiedono dei soldi lui risponde sempre che non ce ne sono”. Addirittura Tremonti, al ministro Sandro Bondi che gli chiedeva soldi per i beni culturali, ha risposto con una frase che ha un retrogusto ‘rurale’: “La gente non si mangia mica la cultura”.

Ma dietro queste battute “da contadino”, Tremonti cela una preoccupazione forte: quella del debito. Il titolare del ministero dell’Economia sa che non può permettersi di spendere, né di far vedere all’estero che si spende e si spande. Il perché è presto detto: l’Italia ha un debito ai massimi storici, siamo il paese di cui i mercati internazionali si fidano di meno e, in più, dall’Europa ci chiedono di rifinanziare il debito. Ieri, infatti, è arrivato l’allarme della Fmi: occorrono politiche di risanamento del debito, soprattutto per l’Italia che mostra una ripresa più lenta delle altre economie. La stessa Fmi qualche giorno fa aveva anche detto che l’Italia è “tra i paesi a rischio” a causa dell'”alto debito pubblico”.

Insomma il Fondo monetario internazionale chiede di rifinanziare il debito emettendo titoli per il 20% del Pil. Questa è la priorità per l’Italia e i soldi devono essere risparmiati per questo motivo. Ma cosa ha portato a questa situazione? All’epoca dell’entrata dell’Italia nell’euro, l’allora governo Prodi aveva il problema di portare il debito a un livello consono ai paramentri dell’Eurozona. Come fecero anche altri Paesi, quindi, si “nascose” (per dirla in parole povere) parte del debito grazie allo strumento finanziario dei “derivati”, i Credit default swap, ovvero le assicurazioni contro il fallimento. Il tutto con l’aiuto della statunitense Goldman Sachs. Insomma si trasformò temporaneamente  parte del debito in credito. Grazie a questa politica l’Italia è riuscita ad entrare nell’Euro ma ora si fanno i conti con il rivolto della medaglia. I derivati a medio e lungo termine stanno scadendo e quel debito “occultato” riaffiora, raddoppiato, mentre dall’Europa ci chiedono di rifinanziarlo. Non solo. L’innalzamento del nostro debito diminuisce la fiducia dei mercati nei confronti del nostro Paese e tutto ciò ha ripercussioni sui mercati secondari, ovvero proprio quelli dei derivati.

Secondo la Depository trust & cleaning corporation (organo di garanzia dei derivati mondiali) non c’è nessun paese messo peggio di noi: siamo il paese in cui i mercati internazionali credono di meno. Un triste primato che fa paura, se pensiamo che la Grecia, che è alle prese con la difficile impresa di riportare il deficit a livelli consoni all’Ue, è addirittura decima, in una classifica in cui l’ultimo è il migliore. E una percezione negativa della nostra economia significa prima di tutto meno investimenti e più a breve termine. In poche parole, meno scommesse sull’Italia e meno “protezione” del nostro debito. Non è un caso, infatti, che il valore dei Cds (lo strumento derivato più utilizzato) sul debito italiano hanno avuto un incremento di oltre 9 punti base nell’arco di 24 ore lo scorso mese. Insomma, quella del debito è una bomba pronta ad esplodere, soprattutto se dal punto di vista politico l’Italia mostrerà ancora instabilità. Tremonti ne è consapevole, ed ecco perché, per dirla con Berlusconi, “non sgancia una lira”.

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