Anche l’Ue blocca i beni libici: congelati 45 miliardi

ROMA – Dopo gli Stati Uniti e la Gran Bretagna anche l’Unione europea è pronta a congelare le quote dei fondi libici, dopo aver, settimana scorsa, congelato i beni personali del regime.

Una decisione ufficiale è attesa per venerdì11 marzo e, se Bruxelles dovesse confermare le indiscrezioni, ”i diritti di voto degli azionisti libici in Unicredit verrebbero congelati”, ha spiegato un portavoce della banca.

Le partecipazione all’estero del fondo Lia, di gran lunga il più importante, varrebbero circa 64 miliardi di dollari, 45 miliardi di euro.

Il pacchetto libico in Piazza Cordusio è nel complesso superiore al 7,5%: la Central Bank of Lybia detiene il 4,98% per un valore ai prezzi borsa di oltre 1 miliardo e 700 milioni di euro e la Lia il 2,59%, che vale circa 890 milioni di euro. Il totale è di 2,6 miliardi.

Nel board di Unicredit, peraltro, siede come vice presidente, Faraht Omar Bangdara che è anche numero uno dell’istituto centrale di Tripoli e, tra l’altro, è nel consiglio della Lia.

Per diversi giorni, nelle fasi più calde del conflitto in Libia, Bengdara non ha dato sue notizie. Il banchiere ha ripreso i contatti con l’istituto, guidato da Federico Ghizzoni solo all’inizio del mese.

Unicredit è tra l’altro anche azionista con il 10,79% della Banca Ubae, una joint venture a capitale italo-libico controllata con il 67,5% dalla Lybian Foreign Bank, tra i soggetti, riconducibili al clan Gheddafi e che rischiano il congelamento da parte dell’Ue. Nell’azionariato dell’istituto che ha sede a Tripoli figurano anche Telecom (1,8%), Intesa SanPaolo (1,8%), Mps (3,67%) e il gruppo Eni (5,39%).

Tornando alla Libyan Investment Authority si tratta del braccio finanziario del colonnello Gheddafi lanciato con lo scopo di gestire i proventi legati al petrolio. E si stima abbia una ‘potenza di fuoco’, cioè una capacità di investimento pari a circa 40 miliardi di dollari.

Il fondo sovrano è anche ‘intrecciato’ via-Francia a Fininvest: la Lia, attraverso la società Lafi Trade, è presente con il 10% in Quinta Communications S.A., società di diritto francese controllata al 68% dal finanziere franco tunisino Tarak Ben Ammar e in cui è presente anche Fininvest, con una quota del 22% detenuta attraverso la controllata lussemburghese Trefinance.

Nel portafoglio della Libian Investment Authorithy, che ha anche il 2% di Finmeccanica, figurano inoltre le partecipazioni sia nella Lafico (che controlla il 7,5% del pacchetto azionario della Juventus ed esprime nel cda Khaled Fareg Zentuti) sia nella Oilinvest, gruppo con sede in Olanda che a sua volta controlla Tamoil. Marchio, quest’ultimo che prima dello scandalo di calciopoli, è stato proprio sponsor della ‘vecchia Signora’.

Intanto l’eventuale sterilizzazione delle quote libiche non preoccupa Piazza Affari. ”Dal nostro punto di vista – spiega l’amministratore delegato di Borsa Italiana, Raffaele Jerusalmi – non ci sono riflessi particolari, è un aspetto che va a toccare il flottante di una societa”’.

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