ROMA – L’euro potrebbe sparire, e potrebbe tornare la lira: a sostenerlo è Unicredit, che nel proprio prospetto dell’aumento di capitale da 7,5 miliardi dal 9 gennaio prende seriamente in considerazione il rischio che alcuni Paesi lascino l’euro, con conseguente impatto negativo sull’area, banche comprese. “Le preoccupazioni relative all’aggravarsi della situazione del debito sovrano dei Paesi dell’Area Euro potrebbero portare alla reintroduzione, in uno o più Paesi dell’Area Euro di valute nazionali o, in circostanze particolarmente gravi, all’abbandono dell’Euro”, è scritto nel prospetto.
Le riflessioni sul destino dell’euro sono contenute in un paragrafo ad hoc, “Rischi connessi alla crisi del debito dell’area euro”. E’ la prima volta che una grande banca italiana mette in guardia i risparmiatori su una possibile dissoluzione della valuta, e sorprende anche di più che lo faccia proprio mentre sta chiedendo ai suoi azionisti di sottoscrivere azioni per la ricapitalizzazione.
Se anche resta un’ipotesi, la sola idea di un crollo dell’euro potrebbe influenzare negativamente l’andamento in Borsa, già colpito dallo sconto del 43 per cento fatto da Unicredit agli azionisti sui nuovi titoli: questa mossa ha infatti portato il titolo di piazza Cordusio a perdere solo ieri, 5 gennaio, il 17,27 per cento, arrivando ad un crollo, in due sedute, del 30 per cento, equivalenti a circa 3,5 miliardi di capitalizzazione.
A tutto questo si aggiungono gli accertamenti della Consob sull’andamento del titolo: la Commissione vuole verificare se ci siano state e violazioni della disciplina sulle vendite allo scoperto introdotta nei mesi scorsi e tuttora in vigore.
L’amministratore delegato Federico Ghizzoni si dice però fiducioso sugli effetti dell’aumento di capitale: “Credo che la nostra operazione sara’ un test importante per l’intero mercato bancario europeo. Siamo fiduciosi che i soci, anche tenendo conto del vantaggioso prezzo dell’operazione, sottoscriveranno. Anzi, mi auguro che questa quota aumenti. Crediamo che una buona parte dell’aumento possa considerarsi già prenotato”.
Alcuni dei soci storici si sono di fatto già impegnati a sottoscrivere l’aumento fino complessivamente al 24 per cento delle azioni oggetto dell’offerta. Tra questi Allianz, Carimonte, Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, CrT (che da sola sborserà 316 milioni), Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna e il consigliere Luigi Maramotti copriranno una percentuale del 10,68.
Atri azionisti, pur non avendo assunto degli impegni vincolanti, hanno avviato le procedure per seguire l’offerta in opzione sottoscrivendo complessivamente fino ad un massimo di circa il 10 per cento. Tra le altre fondazioni Cariverona, che è anche il maggior socio italiano, ha deliberato di sottoscrivere una quota del 3,51 per cento sul 4,2 per cento che detiene. Mentre l’altro ente veneto, la trevigiana Cassamarca (0,7 per cento del capitale) ha convocato per il prossimo 17 gennaio il consiglio di amministrazione per decidere se partecipare all’aumento e in che misura.
Dopo l’aumento di capitale il gruppo, secondo Ghizzoni, è ”a posto e possiamo aumentare i prestiti. Chi non ricapitalizza, e la sensazione è che in Europa siano in molti a resistere, starà nei parametri riducendo gli attivi. Con seri rischi di credit crunch”.