PARIGI – Svolta anti-nucleare in Francia e Giappone. Il presidente francese Francois Hollande ha confermato la chiusura della centrale nucleare di Fessenheim nel 2016, come annunciato in campagna elettorale.
La centrale, che si trova in Alsazia, al confine con la Germania, era tornata nei giorni scorsi nell’occhio dei media per un incidente in cui erano rimasti feriti alcuni dipendenti.
”La centrale di Fessenheim è la più vecchia del nostro parco e sarà chiusa alla fine del 2016 in condizioni che garantiranno la sicurezza dei rifornimenti di questa regione, la riconversione del sito e la conservazione di tutti i posti di lavoro”, ha detto il presidente Hollande durante una conferenza sull’ambiente. La centrale di Fessenheim era entrata in funzione nel 1978.
Anche il Giappone ha annunciato di voler chiudere i suoi reattori nucleari nell’arco di circa 30 anni, optando per un forte cambiamento strategico dopo il disastro della crisi atomica di Fukushima del 2011. Il cambio di rotta è contenuto nelle nuove linee energetiche nazionali approvate dal governo del premier Yoshohiko Noda.
Il Giappone, terzo Paese al mondo per numero di reattori (50, senza i quattro distrutti della centrale colpita dal sisma/tsunami dell’11 marzo 2011) si aggiunge alla lista di Stati che hanno optato per scelte drastiche, come la Germania, che ha deciso di spegnere le sue 17 unità entro il 2022, e la Svizzera, che si propone di eliminare i 5 reattori entro il 2034.
”Il governo attuerà tutte le misure possibili per portare la produzione nucleare a zero negli anni 2030”, secondo il documento sugli sviluppi del piano energetico nazionale messo a punto dopo la peggiore crisi nucleare da Cernobyl del 1986.
A tal proposito, ci sono tre principi da seguire: nessun nuovo reattore da costruire, decommissionamento di quelli con più di 40 anni di vita, riavvio delle unità che hanno superato i giudizi sulla sicurezza da parte dell’Authority di settore.
Prima della crisi di Fukushima, il Giappone genera il 30% del proprio fabbisogno elettrico dal nucleare, con l’obiettivo di superare il 50% entro il 2030.
La percezione popolare diffusa, dopo la crisi, è decisamente cambiata verso il nucleare, tanto che il movimento anti-atomo è in netta crescita a livello nazionale. Noda ha riconosciuto che ”la gente si sta muovendo verso l’abbandono non solo sotto il profilo emotivo, ma anche sotto quello pratico”, accettando un migliore uso dell’elettricità e preparandosi a bollette più care.
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