Giovanni Valentini e suo figlio Niccolò Valentini hanno scritto un libro a quattro mani che è un vero proprio dialogo fra generazioni:
“Voto di scontro”.
Giovanni Valentini è un giornalista affermato, arrivato presto al successo”: a 29 anni dirigeva l’Europeo, a 36 dirigeva l’Espresso, dopo essere passarto, sempre d direttore, per alcuni giornali di provincia del Nord. Antemarcia della lotta a Berlusconi come affamatore della carta stampata, oggi è un solido esponente integrato dell’ortodossia politica.
Niccolò Valentini è ingegnere, ha un buon lavoro, ma certo non ha ancora raccolto i frutti delle sue capacità. Quello che il padre non gradisce è che Niccolò sia, anatema, un “grillino”.
Ne è uscito un vivace e stimolante dialogo fra generazioni, pubblicato dall’editore Longanesi.
Stefano Rodotà ha scritto l’introduzione, di cui il Fatto ha pubblicato alcuni passi.
“Questo libro non appartiene al genere letterario del dialogo tra padri e figli, con annesse incomprensioni generazionali (…) È un’altra cosa. È un confronto tra contemporanei di età diversa, forse addirittura tra ragione e fede (…) Forse Niccolò, con i suoi giudizi impietosi su giornali e giornalisti, non sarà d’accordo con me se dico che solo un giornalista come suo padre Giovanni poteva portare a compimento una impresa così difficile, a metà tra una intervista e un lavoro di introspezione, quella che Giovanni ha giustamente definito una “autoanalisi reciproca”.
“L’oggetto di questa impresa è l’irruzione nella politica italiana di Beppe Grillo e del suo M5S. (…)
“Dalle risposte di Niccolò traspare una radicale e ruvida ripulsa del modo in cui la politica italiana si è venuta costruendo e presentando in questi anni, con caratteri sempre più marcatamente oligarchici (…) Ecco, allora, comparire nelle parole di Niccolo` la “morte della democrazia”, tema vero, che tuttavia lo porta ad aderire alla tesi estrema che vede possibile la resurrezione solo se il Movimento 5 Stelle avrà la maggioranza in Parlamento, anzi il 100% dei seggi (…)
“Niccolò insiste sulla necessità di dare a tutti diritto di parola – di più, di partecipazione – attra – verso il ricorso alle molteplici opportunità offerte dalla Rete. Ma questa giusta indicazione esonera dall’obbligo di coltivare il bene della distinzione, dunque di non condannare in blocco i giornali e i giornalisti, i politici e i partiti?
“La forza e la capacità attrattiva del M5S sarebbero forse incrinate dal riconoscimento di qualche virtù nei campi diversi dal proprio, o questa diffidenza finisce con il rivelare una debolezza, una mancanza di sicurezza politica per cui ogni contatto con l’altro, quale che esso sia e quale ne sia la ragione, diviene contaminazione? (…)
“Perché trasformare una importante, e talora determinante, presenza parlamentare in una sorta di campagna elettorale permanente per il raggiungimento di quell’obiettivo? Le distorsioni determinate da questo atteggiamento sono già visibili, com’è accaduto in agosto, con l’improvvisa conversione alla difesa della legge elettorale Calderoli, con una mossa dichiaratamente motivata da un calcolo elettorale. (…)
“Seguendo il fitto scambio di opinioni che struttura questo libro, mi pare che emerga, come vero nucleo della discussione, quello che definirei come il confronto tra l’unico e il plurale. Giovanni non si stanca di incalzare il suo interlocutore con domande specifiche, che hanno però un nucleo comune: può esservi democrazia senza pluralismo, senza l’accettazione della discussione pubblica, senza pluralità di opinioni e di modalità diverse di organizzare la presenza politica e civile?
“A questa domanda corrisponde una serie di risposte che, nella sostanza, portano verso la conclusione, estrema e discutibile, per la quale il pluralismo organizzato e molteplice della democrazia che abbiamo conosciuto dovrebbe accettare non tanto una moratoria fino a quando non sarà mondato dai suoi vizi, ma cedere integralmente a una unica forma organizzativa e a una logica che non è tanto quella della democrazia diretta, ma di una partecipazione senza confini.
“La questione della democrazia in Rete deve essere affrontata seriamente. Invece, è già divenuta preda di una cultura approssimativa, aggravata dal fatto che nella discussione politica viene messa in campo una sorta di pregiudiziale polemica, per cui ogni critica al M5S finisce con il portare con sé anche la ripulsa di ogni diverso modo di organizzare la vita politica e sociale (…)
“La linea di discussione tracciata da Giovanni, dunque, porta in molte direzioni, e ci consegna una serie di questioni aperte, che lo sono ancora di più quando si arriva allo sfogo finale di Niccolò. Qui ricompare un male italiano di questi anni, il disincanto e la disillusione che hanno accompagnato le speranze variamente riposte nei movimenti.
“Qui la critica dura riguarda direttamente gli eletti del M5S, una loro incapacità di trovare il passo giusto nella loro azione parlamentare, ma pure il residuo di una cultura che, trasformando in una ossessione un tema politico essenziale come quello dell’uso corretto del denaro pubblico, ha bloccato azione e discussione, riducendole “a farsi i conti per quattro spicci”.
“Ma questa reazione, a suo modo esasperata, non deve essere considerata una ennesima manifestazione di un vizio italiano, quello della “vittoria tradita”, ma come l’emergere di un problema ineludibile, che non può essere liquidato riferendosi solo alla inadeguatezza delle persone. È il problema dell’incontro con la politica, al quale non ci si può sottrarre identificandola con i cattivi o pessimi attori che hanno occupato la sua scena in questi anni o rinviando l’assunzio – ne delle responsabilità al momento in cui il 100% dei voti esonererà dalla responsabilità della discussione e del confronto. Introdurre dosi massicce di cambiamento, di cui il sistema politico italiano ha un bisogno disperato, dovrebbe portare con sé anche la consapevolezza del fatto che tutto questo può venire anche da una intelligente e vigile azione quotidiana”.
Anche Repubblica presenta il libro, con un articolo in prima pagina intitolato
“Lettera a un figlio grillino”.
La firma è dello stesso Giovanni Valentini:
“Che cosa accade a un padre di famiglia, di professione giornalista, libero elettore di centrosinistra con la presunzione di considerarsi un cittadino “democratico”, quando scopre con un certo sgomento che un figlio aderisce e milita nel Movimento 5 Stelle?
“E, anzi, è diventato un convinto sostenitore e seguace di Beppe Grillo, al limite dell’indottrinamento o del fanatismo? Superato lo shock iniziale, gli viene voglia di capire, di approfondire, di darsi una ragione.
“Comincia così a parlarne e a discuterne nell’arco di alcuni mesi con il figlio poco più che trentenne, laureato in Ingegneria delle telecomunicazioni, teorico libertario della Rete, grande esperto di wi-fi, social network e quant’altro. Ne discute innanzitutto a voce; ma anche per iscritto, a distanza, via Internet, attraverso le email, gli sms, i tweet, per lo più in tempo reale.
“Anche a colpi di provocazioni. Questo dialogo in pubblico fra un padre e un figlio è nato così: da un lato, il bisogno intellettuale (e personale) di capire; dall’altro, l’ostinata determinazione a spiegare, a difendere le proprie motivazioni, a rivendicare i propri diritti. Un confronto che interpella la coscienza civile di entrambi, ma può coinvolgere anche chi legge da una parte o dall’altra della barricata.
“Ovvero, uno scontro generazionale sulla politica e l’antipolitica, sulla sinistra e Beppe Grillo con tutte le contraddizioni del suo Movimento, sui meccanismi a volte distorti dell’informazione tradizionale e sulla comunicazione alternativa del web. Non so francamente chi dei due ne esca, per così dire, vincitore. E in realtà poco importa.
“Giudicheranno, semmai, i lettori. Nel dialogo spesso acceso e polemico intorno a questo “Voto di scontro”, tra il padre giornalista e il figlio-nipote di giornalista, né io né tantomeno lui abbiamo modificato le nostre rispettive posizioni. Ma almeno per me, e mi auguro anche per lui, è stato uno scambio e forse un arricchimento di idee, di opinioni, di spunti di riflessione.
“Una sorta di autoanalisi reciproca. La politica, in fondo, se ancora conserva la capacità di appassionare è proprio per questo. Perché ognuno matura autonomamente un pensiero, una visione della società e del mondo. E perché ognuno, se vuole, può prendere e dare qualcosa nel rapporto dialettico con l’interlocutore. Quando il confronto è onesto e leale— e tra padre e figlio non può non esserlo, se non altro per motivi di sangue — alla fine si può anche trovare un’intesa: nel senso che ciascuno si fa carico delle ragioni altrui, cerca di comprenderle, di assimilarle, senza arrivare necessariamente a condividerle.
“Da questa esperienza comune ho tratto tuttavia la convinzione definitiva che il Movimento 5 Stelle non è l’antipolitica, come all’inizio superficialmente molti hanno pensato, ma l’effetto o l’onda lunga della malapo-litica: cioè del malcostume, del malaffare, del malgoverno che affliggono il nostro Paese. Vale a dire una reazione, in parte razionale e in parte umorale, nei confronti di una deriva della partitocrazia intesa come degenerazionepatologica del sistema dei partiti, l’occupazione dello Stato, gli abusi, gli sprechi, le ruberie.
“Quella “questione morale”, insomma, che in una celebre intervista a Eugenio Scalfari per Repubblica Enrico Berlinguer cominciò a denunciare ormai più di trent’anni fa, senza tuttavia che i suoi epigoni siano riusciti a risolverla o quantomeno a ridimensionarla. Un deficit di etica pubblica che affonda le radici nella stessa storia d’Italia, nella sua culturae nella sua tradizione.
Nel frattempo, noi adulti abbiamo continuato a consumare incoscientemente risorse ed energie di ogni tipo, ambientali, economiche e perfino morali, a danno delle generazioni successive.
È vero che «le colpe dei padri — come si legge nell’Antico Testamento — ricadono sui figli»: non nel senso, però, che le punizioni per gli errori individuali dei genitori si trasferiscono sui loro eredi, ma piuttosto nelsenso che le responsabilità collettive degli uni finiscono per riversarsi fatalmente sugli altri.
“Ed è, appunto, contro questa ingiustizia che si battono legittimamente i giovani d’oggi, reclamando almeno pari opportunità e pari diritti rispetto a chi li ha preceduti: dallo studio all’occupazione, dal welfare alla sicurezza fino alla pensione. A differenza di quanto avvenne all’epoca del Sessantotto, ora la protesta si combina con la rabbia socialealimentata dalla crisi economica, dalla mancanza di lavoro e soprattutto di prospettive per il futuro.
“Quella dei nostri figli, dentro o fuori il Movimento 5 Stelle, è una generazione senza orizzonte. Scoraggiata, frustrata, depressa. Ecco perché, nonostante tutti i motivi di divisione e di contrapposizione, non possiamo e non dobbiamo rinunciare a capire, a discutere, a dialogarecon loro.«Se noi vogliamo essere ancora presenti », avvertì Aldo Moro all’XI Congresso della Democrazia cristiana, il 29 giugno 1969 a Roma, «ebbene dobbiamo essere per le cose che nascono, anche se hanno contorni incerti, e non per le cose che muoiono, anche se vistose e in apparenza utilissime».
“Oggi che siamo tutti immersi nell’incertezza esistenziale più cupa, questa “lezione” resta ancora valida e attuale. Le «cose che muoiono», purtroppo, le conosciamo fin troppo bene. Ma le «cose che nascono» richiedono capacità di comprensione, disponibilità al confronto, impegno e intelligenza: anche per farle crescere e magari maturare, proprio come si deve fare con i figli”.