ROMA – Diffamazione, “bavaglio” del Senato: multe esagerate minaccia ai giornali online. Tra i punti salienti del testo sulla diffamazione approvato dalla Camera (ottobre 2013, leggi qui) e emendato il 25 giugno 2014 dalla commissione Giustizia del Senato (ora parola all’aula prima del ritorno alla Camera), vi si trovano confermate l’estensione alle testate on line della legge sulla stampa e il no al carcere sostituito da un inasprimento delle multe per ingiuria (di cui in altra sede nel frattempo si discute la depenalizzazione) che, data l’entità vale praticamente la chiusura (ma senza Berlusconi al potere parlare di “bavaglio” non sembra più à la page).
In sostanza, niente più carcere per chi diffama a mezzo stampa, ma esclusivamente una multa in caso di attribuzione di un fatto determinato che va dai 5mila ai 10mila euro. Se il fatto attribuito è consapevolmente falso, la multa sale da 20mila a 60mila euro. Alla condanna è associata la pena della pubblicazione della sentenza. In caso di recidiva, vi sarà anche l’interdizione da uno a sei mesi dalla professione. La rettifica sarà valutata dal giudice come causa di non punibilità.
Riguardo alle disposizioni sulla stampa che includono le testate on line, viene confermato che “Per il delitto di diffamazione commesso mediante comunicazione telematica è competente il giudice del luogo di residenza della persona offesa”, con evidente, ulteriore aggravio di costi e spese legali. Per gli altri mezzi di stampa, il diritto del diffamato a chiedere urgente rettifica si esplicita davanti al pretore. Peccato, come segnala Pierluigi Roesler Franz, che “alla Commissione Giustizia del Senato é forse sfuggito che da anni la figura del pretore non esiste più in magistratura”.
Multe troppo alte. Il Comitato per la protezione dei Giornalisti (Cpj, New York) critica il testo ed invita il governo Renzi a piuttosto depenalizzare il reato di diffamazione: miglioramenti ce ne sono, ma del tutto insufficienti a conformarsi agli standard internazionali auspicabili e indicati da OSCE, Consiglio d’Europa e ONU. Ne va della libertà di stampa, “perché le multe potrebbero essere più alte dello stipendio di molti giornalisti”. Alcuni emendamenti non approvati, osserva il CPJ, “avrebbero limitato le cause pretestuose promosse nei tribunali civili”, che secondo l’Osservatorio rappresentano più di un terzo delle intimidazioni commesse in Italia con querele infondate e altri abusi del quadro legislativo.
Sanzioni sproporzionate. Il CPJ sottolinea che l’Italia è “uno dei pochi paesi europei in cui i giornalisti possono finire in prigione (fino a sei anni) per diffamazione” e che “la Corte Europea dei Diritti Umani ha detto che la legge italiana, con sanzioni criminali sproporzionate, viola il diritto alla libertà di espressione sancito dalla Convenzione Europea”.
Querele pretestuose. Occorrono riforme adeguate, conclude il CPJ, perché in Italia “le minacce di querela per diffamazione sono usate spesso come uno strumento per intimidire i giornalisti e impedire loro di riferire notizie sulla corruzione politica o sulla criminalità organizzata”.