La politica fa male: Giornale, Repubblica, Corriere, Fatto..

La politica fa male ai giornali: Repubblica, Corriere, Fatto
Come vanno le cose in edicola: il punto con i dati Ads (LaPresse)

ROMA – Come si sono comportati sul mercato delle copie i due principali giornali italiani, Repubblica e Corriere della Sera, dove negli ultimi sette mesi sono avvenuti (Corriere) o stati annunciati (Repubblica) cambi alla direzione? Come si comportano i giornali italiani nel loro complesso?

La risposta in apparenza è semplice: calano tutti, chi più chi meno.

Ma chi perde di più e chi di meno? Qualche analisi si può fare incrociando i dati della Ads (Accertamento diffusione stampa: istituto che certifica tirature, vendite e quant’altro riguarda le copie diffuse dei quotidiani in Italia) che periodicamente pubblica, e conserva in memoria, Prima Comunicazione. Ma consumarsi un po’ gli occhi sulle tabelle si notano tendenze un po’ diverse.

La politica, ma non solo, fa perdere più copie della cronaca. I giornali che privilegiano la politica, Giornale, Repubblica, Corriere della Sera, Fatto Quotidiano e Libero, perdono anno su anno più degli altri, nell’ordine il 12,6% il Giornale, più dell’11 per cento Repubblica, Corriere della Sera, Fatto; fa eccezione Libero con solo un meno 6%.

A fronte di questo trend, il contenuto locale nelle pagine di cronaca di cui solo alcune sono leggibili fuori Piemonte, attenua il calo de La Stampa al 9% e il Sole 24 Ore, che ha una prevalenza di contenuto di servizio, si colloca a metà, con un -10,4%.

Ci sono però giornali locali che performano molto meglio, in testa il Messaggero Veneto con -2% e la Libertà di Piacenza con -2,2%: hanno dei bravissimi direttori, coprono con maniaca attenzione il territorio, fanno poca politica nazionale e hanno dei siti internet a dir poco avari di notizie. Il Messaggero Veneto è anche il giornale che ha perso meno in 15 anni, solo un quarto delle copie che vendeva nel 2000, merito di una marginalità friuliana che ha preservato il giornale dai capricci del potere di Roma, di una sequenza fortunata di direttori che non volevano andare a dirigere Repubblica, un sito internet dei peggiori. Conferma la regola la Gazzetta di Parma (-4,9%), la smentisce il Secolo XIX di Genova che ha una ottima edizione on line e nell’ultimo anno ha perso solo il 4,8%; ma i genovesi sono gente strana, molto conservatrice, lenta nei cambiamenti, forse non si fidano di internet, sarà anche gratis ma, maniman, ci fosse un conto nascosto che non vedi ma che poi dovrai pagare.

Stampa, Messaggero di Roma (-9,9%), Mattino di Napoli (-8,7%), Gazzettino (-8,3%) hanno delle edizioni on line ricchissime e fatte molto bene, offrendo così allettanti e gratuite alternative alla edizione su carta, nonostante in edicola costino solo 1,2 euro per copia (ma escono in città dove, ad esempio Roma, il caffè si trova anche a meno di 1 euro).

In cifre assolute, nel mesi di settembre 2015 la Repubblica ha venduto 230.015 copie, perdendone 29.508 (-11,3%) sul settembre 2014. Il Corriere 225.935 copie, – 29.450 (-11,5%), il Fatto Quotidiano 35.592 copie, -4.512 (-11,2%). A destra, il Giornale è sceso a 77.170 copie perdendone 11 mila (-12,6%), Libero a 35.871, il 6,3%, 2.407 copie in meno.

La Stampa ha venduto 143.232 copie perdendone 14.623 (-9,2%), il Sole 24 Ore ne ha vendute 87.189 perdendone 10.205 (-10,4%). Il Secolo XIX di Genova, oggi entrato nella stessa scuderia della Stampa, ha fatto molto meglio:  -4,8%.

I dati cui ci riferiamo sono quelli delle vendite in edicola che non comprendono gli abbonamenti, le copie regalate e quelle digitali di cui oggi tanto si vantano alcuni. La ragione della scelta è che le copie vendute in edicola sono la testimonianza di una scelta esplicita dei lettori, che affrontano caldo e freddo, sole e pioggia per andare fisicamente dal giornalaio e farsi dare una copia del loro giornale. Sugli altri tipi di copie sono possibili e sono state anche abusate in passato iniziative di marketing diciamo estreme con operazioni di sconto anche massicce. Le copie digitali, oltre alle precedenti difficoltà di trasparenza, presentano anche l’inconveniente di essere poco valide dal punto di vista pubblicitario, colpa della scarsa visibilità degli annunci in un formato che è un ottavo di quello stampato su carta.

Le cifre riportate sopra indicano che il trend di mercato rispetto a un tipo di giornale e ai suoi contenuti prevale sul direttore. Se il giornale non cambia, il pubblico non si accorge del cambiamento. La prova viene dal Corriere della Sera, dove il direttore è cambiato, il giornale no e le copie continuano a calare e rimane anche il modestissimo distacco che vede Repubblica primo quotidiano ma per sole 4 mila copie, il 2 per cento. Ferruccio De Bortoli è vendicato. Lo stesso vale per il Fatto, dove la direzione assunta da Marco Travaglio nel febbraio del 2015 non ha fatto guadagnare copie rispetto al pensionato Antonio Padellaro.

Sarà interessante vedere come si comporterà Repubblica quando da metà gennaio l’attuale direttore della Stampa diventerà direttore di Repubblica. Per Calabresi il salto sarà grosso, perché la Stampa, tolte poche migliaia di copie delle “mazzette”, è letta nella parte continentale dell’ex Regno Sardo ma comunque soprattutto da piemontesi o della diaspora o trapiantati al sole della Liguria di Ponente. Repubblica è l’unico giornale tutto nazionale, senza radici in nessuna “capitale” o regione salvo una presenza un po’ accentuata a Roma per l’attenzione egemone al Palazzo e alla politica.

Cosa farà Mario Calabresi di Repubblica? Le premesse sono visibili in una qualunque edizione della Stampa, ad esempio quella di domenica 29 novembre 2015: quella che arriva a Roma conta 40 pagine, lordo pubblicità, ce n’è una sola di una inutile cronaca di Torino che non interessa nemmeno a Torino, all’inizio ce ne sono ben 13 di nessun interesse. Se immaginate di vivere a Alba o a Nizza Monferrato o Alessandria o Cuneo o Asti vi viene da chiedervi: 1,5 euro why? Ma lo stesso vi chiedete se vivete a Roma, eccettuata quella singola pagina che parla di Roma.

Forse, fossi il proprietario di un giornale, mi chiederei perché. Mi chiederei se il giornale che mando in edicola ogni giorno risponde ai bisogni del mio mercato, dei miei lettori e se forse non sarebbe il caso di consultare su Google Analytics gli elenchi degli articoli più letti sul sito internet del mio giornale e anche dei concorrenti. Senza spendere soldi in ricerche di mercato, è tutto scritto lì.

Poi mi chiederei anche se non ho sbagliato tutto a puntare su internet facendo fare un sito sempre più bello, sempre più ricco, sempre più trafficato, soprattutto per quelle notizie che sono solo mie. Ma proprio solo mie, non prese dalle agenzie o dai giornali stranieri o dai comunicati stampa.

Non c’è dubbio che più ben fatte e ricche sono le edizioni on line dei giornali, più le loro vendite in edicola ne soffrono mentre il prezzo del giornale, superiore, fra 1 euro e 20 e un euro e mezzo, a quello di un caffé fino al 50 per cento e oltre, sembra avere avviato una spirale molto pericolosa.

A guardare bene tutti i numeri in colonna di un ampio campione di giornali italiani, emerge soprattutto la regola che internet santifica il suicidio dei giornali, più che l’uccisione by Google. Non voglio ammorbarvi con tutti i numeri, vi chiedo di fidarvi: per quel poco che conosco i giornali, le loro edizioni on line, l’elasticità al prezzo e i direttori, mescolando i vari elementi trovo conferma della mia formula nel numeretto finale, quel – x % che si ripete puntuale, mese dopo mese, anno dopo anno. Siamo a vendite fra un terzo e metà di quello che vendevano 15 anni fa.

Nella tabella che pubblichiamo qua sotto,  riferita ai mesi di settembre 2014 e 2015, fa impressione la differenza fra le copie pagate e quelle tirate: in parte sono abbonamenti, in parte sono copie regalate (ma dopo i trionfi di dieci anni fa ora sono quasi zero), il più sono le copie rese, croce di ogni amministratore, delizia di ogni commerciale perché garantiscono la copertura del territorio. Repubblica registra il valore assoluto più alto, perché solo la leadership in una piazza permette di ottimizzare il rapporto. Il Fatto registra la percentuale più alta perché deve mandare almeno una copia nelle 36 mila edicole italiane: 93 mila copie tirate per venderne 36 mila, con solo 800 abbonamenti, in calo, quasi tre copie per venderne una. Tutto chiaro ad occhi abituati, ma sempre impressionante:

Testata La Repubblica  Corriere della Sera  La Stampa  Sole 24 Ore  Fatto Quotidiano 
 Tiratura media
settembre 2015
  391.681 394.783 254.212 199.944 93.803
 Tiratura media
settembre 2014
 431.469 422.500 278.126 233.909 94.107
Variazione
tiratura
 -39.788
(-9,2%)
 -27.717
(-6,5%)
 -23.914
(-8,6%)
 -33.965
(-14,5%)
-304
(-0,3%)
 Vendite edicola
settembre 2015
230.015225.935143.23287.18935.592
Vendite edicola
settembre 2014
     259.523255.385157.85597.39440.104
Variazione
vendite
-29.508
(-11,3%)
-29.450
(-11,5%)
-14.623
(-9,2%)
-10.205
(-10,4%)
-4.512
(11,2%)
Resa
settembre 2015
121.448
(31%)
105.602
(26,7%)
76.858
(30,2%)
53.980
(27%)
56.994
(60,7%)
Resa
settembre 2014
129.601
(30%)
117.514
(27,8%)
83.223
(29,9%)
57.345
(24,5%)
52.415
(55,7%)
Variazione
resa e % resa
-8.153
+1%
-11.912
-1,1%
-6.365
+0,3%
-3.365
+2,5%
+4.579
+5%
Gestione cookie