ROMA –Avete presente l’immagine dei disperati che scendono da barconi stracolmi dopo giorni di mare senza cibo e con poca acqua? Uomini, donne e bambini che arrivano nel nostro paese senza nulla, nel migliore dei casi con degli stracci bagnati addosso e con le scarpe rotte. Che a fatica mettono insieme due parole d’italiano. Pensereste che sia possibile lucrare su di loro e sulla loro cattiva sorte? La risposta è sì, si può! Italiani brava gente era il titolo di un celeberrimo film degli anni ’60, nel nuovo millennio siamo diventati così bravi che rubiamo anche sulla disperazione. Il fenomeno viene fuori da una storia riportata da La Stampa, ma svela quello che è un sistema e non un caso isolato.
Tutti hanno presente Lampedusa e il suo centro d’accoglienza, ma molti meno sono quelli che sanno dove vanno a finire gli immigrati quando l’isola viene svuotata. Vengono distribuiti in 1034 centri attrezzati come strutture d’accoglienza distribuiti in tutta Italia. Attrezzati però per modo di dire. Di questi centri fanno parte parrocchie e le comunità come la Caritas che, verosimilmente, fanno quello che possono e comunque di certo non ci rubano sopra. Ma fanno parte della lista anche alberghetti, ostelli e Bed and Breakfast, e sono questi quelli che più spesso lucrano sulla pelle dei disperati. Lo Stato riconosce a tutte le strutture che prendono in carico i migranti 40 euro al giorno per gli adulti e 80 per i minori. Su questo non solo si guadagna, addirittura si ruba. Stanze stipate di migranti oltre l’inverosimile, poco cibo e di scarsa qualità. Affare ghiotto e sicuro senza nessun rischio, tanto chi mai denuncerà il malcostume? Delle oltre mille strutture convenzionate con la Protezione Civile alcune sono “esperte” in materia, come le comunità d’accoglienza e le parrocchie ma, grazie all’ordinanza del 20 giugno scorso che ha aperto il mercato dell’accoglienza a tutti, alla lista si sono aggiunti, alberghi, ostelli e persino semplici appartamenti. In sostanza non serve alcun requisito minimo e si va avanti sulla base di candidature spontanee.
In teoria la convenzione prevede che le strutture s’impegnino a fornire tre pasti al giorno, biancheria e materiale per l’igiene e mediazione culturale. Ma la Protezione civile non controlla e questi requisiti minimi, a cui se ne aggiungerebbero anche altri come una scheda telefonica che consenta un minuto al giorno di conversazione con i parenti lontani, sono spesso un’utopia. La convenzione prevede poi che il rapporto con il centro privato, in caso di gravi inadempienze, si rescinda con un preavviso di quindici giorni, ma gli unici titolati a fare questa valutazione sono gli uomini della Protezione Civile stessa. Qualcuno però dalla polizia è andato a raccontare tutto. “Sapete cosa ha trovato la polizia? Da mangiare, in magazzino, qualche cipolla. E solo un bagno per 24 ragazzi”. A parlare è Joseph Amoako Dwomor, ghanese di 21 anni, l’aspirante mediatore culturale che si è ribellato a questo stato di cose e di cui il quotidiano torinese racconta la vicenda. “Mi ero proposto qualche settimana fa per fare il mediatore – continua Joseph – e mi è bastato poco a capire come funzionasse la storia. Molti ragazzi avevano ancora le scarpe sfondate di quando erano sbarcati, alcuni di loro non avevano ancora capito dove fossero, a pranzo un piatto di pasta scotta, un solo operatore che si arrangiava come poteva, un cuoco di 65 anni che non aveva mai cucinato in vita sua. Per pranzo un po’ di pasta scondita e, quando andava bene, un pezzo di una fetta di pollo tagliata in tre parti. Ho detto alla proprietaria: signora, questi ragazzi parlano solo il dialetto, devono imparare l’italiano. In un primo momento mi ha risposto: va bene, poi quando ha scoperto che bisognava comprare per tutti almeno un quaderno e una matita, è andata su tutte le furie. Le ho spiegato che servivano le fotografie per i documenti in questura, mi ha gridato che lei non tirava fuori un soldo. Un’altra volta ha cucinato con le sue mani frittelle disgustose e mi ha ordinato: di ai ragazzi che le ho comprate al ristorante. Ho risposto: no, signora, non faccio questo tipo di mediazione, se vuole glielo dica lei”.
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