ROMA – C’è qualcuno che preferisce il silenzio, ma in generale in sala operatoria la musica sembra essere un vero toccasana: per i pazienti, che quando si preparano a un’operazione riescono a rilassarsi e ad alleviare ansia e stress e una volta terminato l’intervento possono sperimentare un risveglio ‘morbido’, ma anche per lo staff che comprende medici e infermieri, perché migliorano le performances e la comunicazione.
In Gran Bretagna, riporta l’Ansa, si utilizza la musica in sala operatoria in una percentuale variabile dal 62% al 72% dei casi, con l’80 per cento dei chirurghi coinvolti e del resto dello staff che spiegano di riuscire in questo modo a concentrarsi meglio, soprattutto se il brano che ascoltano è il loro preferito, e da un articolo pubblicato sul British Medical Journal arrivano i consigli semi- seri di un esperto che ha trascorso molti anni in sala operatoria, il dottor David Bosanquet, su cosa evitare e cosa invece preferire.
Sì a “Stayin’ Alive” dei Bee Gees, perché in caso di arresto cardiaco aiuta a “tenere il ritmo” nella rianimazione cardiopolmonare, sì a “Comfortably Numb” dei Pink Floyd, ideale da ascoltare mentre si attende che l’anestesia epidurale faccia effetto ma poi da non ripetere perché spinge troppo all’introspezione e sì anche a “Wake Me Up Before You Go-Go” dei Wham, ideale per alleviare lo stress post- operatorio e ridare morale all’intero staff.
No invece a “Scar Tissue” dei Red Hot Chilli Peppers, che come si evince dallo stesso titolo “tessuto cicatriziale” mal si adatta in particolar modo alla chirurgia plastica, no a “Everybody Hurts” dei Rem, un classico eppure troppo malinconico per i chirurghi ma anche per i pazienti. Cartellino rosso anche per “Another One Bites the Dust” e “Killer Queen” dei Queen, soprattutto se ci sono chirurghi o anestesisti donne, mentre per la musica classica il via libera e’ totale, senza limitazioni.