ROMA – Poco più di 300 mila euro l’anno per l’affitto di una sede di rappresentanza, una sorta di piccola ambasciata nel cuore della capitale. Canone salato, così salato che si è deciso di tagliarlo rescindendo il contratto di locazione con una penale di appena 2 milioni e 880 mila euro. Sembra la solita storia di sperpero di denaro pubblico ma, oltre a questo, c’è anche di peggio: la mini ambasciata a Roma l’aveva infatti aperta la regione Lazio.
“Il regalino – scrive Sergio Rizzo sul Corriere della Sera – risale al 2002, quando la Regione Lazio era in mano a una solida maggioranza di centrodestra. Governatore, Francesco Storace. Presidente del consiglio regionale, l’attuale senatore di Forza Italia Claudio Fazzone. Per motivi imperscrutabili si decise che lo stesso consiglio, che com’è noto ha sede a Roma, aveva l’impellente necessità di dotarsi di un ufficio di rappresentanza. Dove? Ma nel centro di Roma, a due passi dagli uffici dei deputati, ovviamente. Si poteva forse essere così crudeli da rifiutare ai consiglieri un punto d’appoggio nella Capitale al riparo delle intemperie d’inverno, e della canicola d’estate, senza costringere loro e i loro ospiti illustri ad affrontare un viaggio in taxi verso la periferia ovest della città, dov’è la sede della Pisana? Anche l’affittuario era il medesimo che aveva ceduto in locazione alla Camera con il meccanismo del global service i palazzi che ospitano gli studio degli onorevoli: la società Milano 90 dell’immobiliarista Sergio Scarpellini, titolare di uno dei più prestigiosi allevamenti di cavalli d’Italia. Contratto superblindato: nove anni più nove”.
Della voglia delle regioni di dotarsi di prestigiose sedi di rappresentanza in giro per il mondo se n’è parlato, e molto. Uffici a New York o in Australia avevano fatto storcere il naso e scandalizzato i contribuenti che, con le loro tasse, quegli uffici tenevano in piedi. Ma la giunta Storace è riuscita in un’impresa quasi unica nel suo genere: aprire una sede di rappresentanza presso se stessi.
Un’ambasciata della regione Lazio a Roma è un po’ come se il vicepremier Angelino Alfano mettesse su uno staff per tenere i rapporti con il ministro dell’Interno, che è sempre lui. Se lo facesse verrebbe preso probabilmente a pernacchie, anche se nel nostro Paese non ci si può davvero mai stupire per nulla. Ed invece Storace e la sua giunta non furono presi a pernacchie da nessuno. Da quando l’ufficio fu aperto sono passati, è vero, più di dieci anni. Ma a memoria non si ricordano grandiosi proteste e vibrate denunce per stoppare la creazione dell’ambasciata presso se stessi.
Ed infatti quella spesa folle e quella sede erano riuscite a sopravvivere ad un giro di centrodestra e al successivo giro di centrosinistra. E solo con la montante crisi e le contemporanee denunce sui costi spropositati, e spesso ingiustificati della politica, si è deciso di chiudere la risibile sede.
Ma come spesso accade quando si tratta di denaro pubblico, la chiusura e il taglio si sono rivelati un costo anziché un risparmio.
“Trascorsi i primi nove anni – racconta ancora Rizzo – il presidente del consiglio regionale Mario Abbruzzese (Popolo della libertà, ora in Forza Italia) arrivò quindi alla dolorosa conclusione di dare seguito alla pratica già aperta dal suo predecessore Bruno Astorre (Partito democratico): quella di rescindere il contratto. A febbraio del 2011 lui stesso lo ribadì in una lettera al Corriere replicando a un articolo che aveva ricordato quella storia. ‘Per la sede di via Poli il contratto è stato rescisso. Inutile citarlo, dunque, se non per registrare un risparmio di 300 mila euro annui’, scriveva Abbruzzese. Peccato che la società Milano 90 avesse impugnato la decisione, argomentando che la rescissione era avvenuta senza rispettare i termini del contratto. E rivendicando un indennizzo pari ai nove anni di canone restanti. Il calcolo dà un risultato stupefacente: 2 milioni e 880 mila euro. Per parare il colpo, la Regione aveva dato incarico a un paio di avvocati fra cui un legale di Cassino, Massimo Di Sotto, concittadino di Abbruzzese. Ma il giudice non ha potuto fare altro che accogliere le tesi contenute nel ricorso. Consapevoli del rischio di dover pagare una tombola, del resto, al consiglio regionale si erano già preparati ad affrontare una costosa conciliazione: proposta però bocciata dalla giunta. La vicenda è stata poi sommersa, e soffocata, dal precipitare degli eventi. Lo scandalo dei milioni versati nelle casse dei gruppi politici consiliari, lo scioglimento del consiglio e della giunta di Renata Polverini, le elezioni e il ritorno al governo del centrosinistra. Di quella storia, sulla quale ora pende il giudizio d’appello, si sono letteralmente perse le tracce. Ne resta soltanto una, ai limiti dell’inverosimile. Nel sito internet della Regione Lazio c’è una pagina di ‘contatti’, con gli indirizzi e i numeri di telefono di tutti gli uffici. Ci credereste? Tre anni dopo la rescissione del contratto, nella casella del consiglio regionale figura ancora l’indirizzo della ‘sede di rappresentanza’ di via Poli, 29. Ma se si compone il numero di telefono una voce metallica avverte che ‘il numero selezionato è inesistente’. Almeno la bolletta telefonica hanno smesso di pagarla…”.
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