ROMA – Il Movimento 5 Stelle non è un partito per vecchi, il Pd invece sì, eccome. Silvio Berlusconi, che guidi Forza Italia o il Pdl, spopola tra i meno istruiti. Queste le caratteristiche dei principali soggetti politici nostrani e dei loro elettori. In un quadro di grande mobilità elettorale, dove un votante su due ha cambiato il proprio voto rispetto al passato, spicca l’impermeabilità tra destra e sinistra. Solo 3 elettori su 100 hanno infatti cambiato schieramento alle ultime elezioni.
E’ questo il risultato di un’analisi dei flussi di voto pubblicata oggi (7 novembre) da La Stampa. Una ricerca fondata su quasi 10 mila interviste condotta dall’Italian election network study, con il contributo di varie università e dell’Istituto Cattaneo ed edita da Il Mulino col titolo “Voto amaro, disincanto e crisi economica nelle elezioni 2013”.
Altri risultati appaiono interessanti e comunque in certa misura inattesi. Eccone qualcuno: il Pd non è più il partito più votato tra gli insegnanti, ha ceduto il posto al M5S scelto dal 28,8 per cento di chi va in cattedra, Pd solo al 20, 5%, terzo Scelt Civica di Monti con il 12,5, Pdl di Berlusconi non segnalato nell’area.
Ancora: M5S primo anche tra le casalinghe (38,6), incalzato qui dal Pdl secondo con il 29,5, staccato il Pd con il 15 per cento.
Generazione ’68, cioè gli adolescenti negli anni sessanta: qui il Pd è primo con il 29,3, segue Pdl con il 25, M5s solo al 15,5 per cento.
Generazione Berlusconi, cioè i nati tra il 1976 e il 1985: qui in testa M5S con il 35, 5, segue Pdl col 25, segue Pd con il 15,5 per cento.
Pensionati: in testa il Pd con il 35, 3, segue Pdl con il 26,5, segue M5s con 11,7 per cento.
Interessanti anche gli scostamenti area per aerea rispetto alla percentuale nazionale raccolta. Pd più 3,9 per cento rispetto l suo dato nazionale tra i “sessantottini”, più 9,9 per cento tra i pensionati, meno 10, 4 tra le casalinghe, meno 4,9 tra gli insegnanti, più undici per cento tra i nati fino al 1975, meno 7,2 per cento nella generazione Berlusconi. M5S meno 10 per cento tra i sessantottini, più 20 per cento nella generazione Berlusconi, meno 14 per cento tra i nati fino al 1975, meno 13, 8 tra i pensionati, più 3,3 tra gli insegnati e più 13,1 tra le casalinghe. Pdl più 3,4 nella generazione ’68, pari nella generazione Berlusconi, più 6,5 nei nati fino al 1975, più 4,9 tra i pensionati, non pervenuto tra gli insegnanti e più 7,9 tra le casalinghe. I più e i meno, ricordiamo, rispetto alla percentuale nazionale di voti raccolta.
Il dato forse più significativo che emerge non riguarda la composizione dell’elettorato dei singoli partiti, ma l’appartenenza ad un’area di riferimento. Nelle ultime elezioni politiche, quelle del febbraio 2013, un elettore su due ha scelto di votare un partito diverso rispetto al passato. Probabilmente un record e comunque un dato che sottolinea una mobilità elettorale senza precedenti almeno per il panorama del nostro Paese. Nonostante questa eccezionale mobilità pochi, quasi nessuno i voti passati dal centro destra al centro sinistra o viceversa. Appena il 3% dei votanti ha infatti scelto di cambiare schieramento in una situazione che, rispetto alle coalizioni o comunque alle macro aree di riferimento, appare pressoché cristallizzata. Berlusconi ha perso sei milioni di voti, il Pd tre milioni e praticmente nessuno di questo nove milione ha attraversato la frontiera reciproca, hanno scelto l’emigrazione in altro continente (M5s).
Interessanti poi le caratterizzazioni dei singoli partiti e movimenti, come i 5 Stelle amano definirsi. Partendo proprio dalla creatura di Beppe Grillo si scopre, dai risultati dell’analisi, che è questa la preferita dai giovani. Ben il 44.6% dei ragazzi tra i 18 e i 24 anni ha infatti scelto di dare il suo voto al M5S.
Sull’altra sponda dell’elettorato invece il Pd. Quel partito democratico che tra i giovani proprio non riesce a far breccia, favorendo così la deriva giovanile verso Grillo, e che invece mantiene saldamente il suo radicamento tra i pensionati. E’ questa categoria a rappresentare lo “zoccolo duro” dell’elettorato democratico. Caratteristica che mostra i limiti del Pd, che non riesce ad avere appeal sui giovani e, cosa più importante, che non riesce a conquistare nuovi elettori. Tanto è vero che persino tra i disoccupati in cerca di prima occupazione il Pd viene superato dal partito del Cavaliere.
Diversa la condizione del Pdl che, oltre ad essere sempre legato a doppio filo al suo leader Berlusconi, si rivela come il partito del poca scuola. Pdl che spopola infatti tra chi ha solo la licenza elementare e che miete sempre meno consensi man mano che si sale nella scala dell’istruzione sino ad arrivare ad essere tra i meno votati tra chi ha una laurea. Rimanendo infine al Pdl, chi non lo ha votato, lo ha fatto in larga parte per insofferenza nei confronti di Berlusconi: con ciò dimostrando quanto sia stretta, ma non impraticabile, la strada degli eventuali scissionisti alfaniani, visto che chi ha rivotato Pdl continua a stimare Berlusconi e all’88 per cento è pronto a rifarlo, mentre chi lo ha lasciato ha dato un giudizio negativo sul Cavaliere e sul suo governo.
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