ROMA – Dagli anni ’70 ad oggi sono 27 mila le persone inghiottite da un buco nero in Italia, di cui 2 mila solo negli ultimi due anni. Due al giorno e a contarli così fa più impressione, la giusta impressione. Persone che sono scomparse e di cui non si è più ritrovata alcuna traccia. Di queste 15 mila sono maggiorenni e 12 mila minorenni. La stragrande maggioranza, il 70 per cento, scompare “volontariamente”, cioè decide autonomamente di lasciare la vecchia vita per fuggire altrove. Tra questi persone “frustrate” dalla vita, persone che si sentono incapaci, non all’altezza. E poi storie di figli contesi e matrimoni falliti. Ma tra i molti scomparsi una fetta significativa è fatta dagli anziani malati di Alzheimer che più che scomparire si perdono.
Tante, tantissime le persone che ogni anno nel nostro Paese svaniscono nel nulla. Nella stragrande maggioranza dietro queste storie non ci sono alieni od orchi, ma molto più semplici motivazioni legate a stress, frustrazione, difficoltà economiche e simili. Non solo Emanuela Orlandi o Angela Celentano, e nemmeno Denise Pipitone. Quelli citati sono i casi più “noti”, le sparizioni eccellenti. Ma l’esercito degli scomparsi è fatto per lo più da tanti “Mario Rossi” che da soli decidono di lasciare la vita che per qualche ragione non gli va più bene e di tagliare i ponti con il passato.
Esiste da qualche in Italia un organismo che di questi casi si occupa, ma è un organismo povero di fondi e di mezzi. Dal 2007 – come racconta Carlo Verdelli su Repubblica – c’è un commissario straordinario del Governo per le persone scomparse (ma l’ultimo, il prefetto Paola Basilone, è stato trasferito a Torino per l’emergenza Val di Susa e non è ancora stato sostituito): ci lavorano 13 persone, tra operativi e amministrativi, con tanta buona volontà ma non con altrettanti mezzi e senza la necessaria autonomia per guidare indagini interforze e coordinare i collegamenti con l’Europa. Un’authority indipendente sarebbe meglio, e così dei commissari che non vadano a scadenza come lo yogurt (3 in 5 anni); ma almeno un avamposto esiste. Come esiste, dal 2012, una legge (la 203) che riconosce la figura dello scomparso dal punto di vista legale. In compenso, manca una banca dati centralizzata dei Dna che permetta di incrociare i dati genetici degli spariti con quelli dei cadaveri non identificati (che non sono pochi, 852). Scarsa anche la certezza sui dati o sulle casistiche di quanti non sono più reperibili. Persino su quanti ritornano, o vengono scovati e spinti a tornare, si va a spanne. L’ultimo rapporto del Commissario straordinario parla di 1323 “rintracciati in vita” su 2611 denunce arrivate a quell’ufficio dal 2007. E le altre denunce depositate altrove?
Il grosso del lavoro è stato fatto e continua ad essere però fatto dalla trasmissione di Rai3 ‘Chi l’ha visto?’ e dalle associazioni di cittadini che alla ricerca degli scomparsi si dedicano, come “Penelope”, creata una decina d’anni fa dal fratello di Elisa Claps, Gildo.
Ma dove vanno a finire quelli che spariscono? E perché lo fanno, almeno quelli che scelgono di farlo? Il punto è proprio questo: quelli che scelgono di farlo sono la stragrande maggioranza, quasi il 70% del totale, contro un 20% che “si perde” a causa di disturbi psicologici gravi, e con la rimanenza divisa tra incidenti, omicidi occultati, accadimenti non spiegati o spiegabili.
Dei 27 mila scomparsi registrati in Italia poi circa 17 mila sono stranieri, di cui la metà donne, per lo più dell’Europa dell’Est. E meglio non va negli altri paesi europei, anzi in alcuni luoghi va molto peggio. In Francia sono poco meno di 60 mila gli scomparsi, di cui oltre 10 mila giudicati come “allarmanti”; mentre in Gran Bretagna gli scomparsi arrivano a superare quota 350 mila, con oltre la metà che sono minorenni. In Spagna le denunce di sparizione arrivano a 12 mila l’anno e, in Germania, sono 150/200 i nuovi casi segnalati ogni giorni con un “monte” di oltre 14 mila cadaveri non identificati. Attraversando poi l’oceano, negli Stati Uniti, con i dati del 2010, gli scomparsi sono quasi 700 mila con circa 7 mila 500 corpi ancora senza identità.
“Le pagine dedicate agli scomparsi – scrive Verdelli riferendosi al sito di Chi l’ha visto? – sono 80, ciascuna con 15 profili (il totale fa circa 1200), più uomini che donne, molti stranieri, persino un frate cinquantenne, Michele Bottacin, che nel 2002, di ritorno dall’Angola per una vacanza sulle Dolomiti, si allontana su una Seicento verso il passo Cibiana e non ricompare più, nonostante le ricerche del gruppo alpino di Belluno. Scorrendo l’ordine alfabetico, spunta la testa calva di Andrea Briatore, 35 anni, un tatuaggio sul braccio sinistro con la scritta ‘tutto quel che accade, dalle cose grandi alle piccole, accade necessariamente’, dileguatosi in aprile dall’ospedale di Savona dov’era ricoverato, fumatore di Philip Morris gialle; Leonello Catalani, architetto di 54 anni, scapolo, che il 16 novembre a sorpresa non si presenta al consueto pranzo con genitori e fratello nel viterbese, lasciandosi alle spalle la sua Peugeot 206 celeste regolarmente parcheggiata, con dentro cellulare e patente, e le luci della cucina accese in casa, come sempre quando andava fuori; più o meno le stesse mosse di Fabio Foti, 35 anni, ragioniere e single, che una sera del gennaio 1998 esce dall’ufficio della Sony di Roma e, svanendo, consegna all’angoscia un padre che da allora non smette di cercarlo, compagno di disperazione di un altro genitore, quello di Biagio Spezzano, 24 anni, calabrese, descritto come ‘intristito’ perché non trovava lavoro: dal 2004, il suo di padre gira l’Italia affiggendo la foto del figlio in ogni stazione ferroviaria. Un altro disoccupato, Massimo Lampasi, venticinquenne di Serra San Bruno (Vibo Valentia), ‘una bambina di 4 mesi che adora’, domenica 24 febbraio di quest’anno, alle 18.30, dice alla compagna che scende a comprare le sigarette e non si porta dietro il cellulare, ‘tanto risalgo subito’. Non è risalito, come non è tornata dalle compere alla vigilia del suo compleanno Maria Floriana Del Pizzo di Napoli, che aveva 42 anni nel 2003. L’anno prima, a Catania, Gaetana ‘Tania’ Greco andava in posta a fare un versamento sul conto che il suo fidanzato Rosario aveva aperto per loro due, visto che avevano deciso di sposarsi. Di Rosario non sappiamo, ma la madre Concetta non vuole arrendersi: ‘La mia Tania non avrebbe mai deciso nulla senza avvisarmi. Fatemela riabbracciare’”.
Come spiega Gildo Claps “le prime 48 ore sono determinanti per capire davvero la soglia di allarme e intervenire. Sprecate quelle, tutto diventa più difficile”. E tra le ragioni delle sparizioni spesso la componente principale, la molla che spesso scatta è quella della vergogna. Racconta Franco Ponzi, detective privato della famiglia di cui Tom fu capostipite: “Una volta abbiamo acciuffato un trentenne pugliese mentre era in fila a Marsiglia per entrare nella legione straniera. Era finito lì perché si sentiva un calimero, schiacciato da un padre e da un fratello ingombranti. Voleva dimostrare che era in gamba anche lui”. Dimostrare di essere vincenti, l’incapacità di sostenere i fallimenti, che siano nella professione, a scuola o nei sentimenti, l’accumulo di sensi di colpa per non essere stati all’altezza di qualcosa o delle aspettative di qualcuno: chi studia il fenomeno delle sparizioni come Fabio Sbattella, docente di psicologia dell’emergenza alla Cattolica di Milano, sa di avere a che fare con un terreno complicatissimo. “Non sono tutti alle Maldive con l’amante, come si dice nei bar. Sono circuiti, quelli degli spariti, di sofferenza estrema, di solitudine, di ascolto invocato e non ricevuto, specie tra gli adolescenti. La crisi economica accelera i processi: è un peccato sociale essere debole, passi per sfigato, sei il primo a non perdonartelo. E allora la fuga diventa l’apertura dirompente verso un cambiamento radicale: non sono più una pedina degli scacchi, esco dal gioco. Ecco perché poi è così difficile mandare anche un piccolo messaggio a chi hai lasciato nell’altra vita. Per sopravvivere, si opera una scissione radicale: quello che c’era dietro non esiste più”.