ROMA –”“2012 fuga dall’euro”… Rubare il titolo di un celebre film hollywoodiano è sin troppo semplice, e allora stiamo sul tecnico e titoliamo “Evacuazione”. Sì, evacuazione dall’euro: senza panico, per prudenza, in maniera ordinata, massiccia e progressiva chi può “evacua” dalla moneta unica europea. Non più solo hedge fund o fondi speculativi stanno lasciando la barca euro, ma cominciano a sganciarsi, o a studiare piani per farlo, anche le grandi multinazionali e i fondi non speculativi. La situazione spagnola, le difficoltà di Bankia e la mancata soluzione della questione in sede europea non aumentano certo la fiducia in una tenuta del sistema bancario iberico. E le parole di un “guru” dell’economia, che ha dato ai leader del vecchio continente 100 giorni di tempo per salvare la moneta unica, più che catastrofiche appaiono come una pressante richiesta di presa di coscienza. E anche per Mario Monti si prepara un’estate “difficile”, tra fiscal compact e impegni internazionali.
Evacuazione euro, come racconta Federico Rampini su Repubblica, stanno cominciando ad abbandonare l’Europa
“le multinazionali dell’industria, della grande distribuzione, del turismo e dei servizi. Il deflusso dettato dalla paura coinvolge l’economia reale, non soltanto gli hedge fund e le banche di Wall Street. L’allarme sale di un livello, contagia multinazionali americane ma anche europee: tutte a preparare “piani A, B e C”, scenari-catastrofe, misure preventive per limitare i danni mettendo i capitali al sicuro. (…) E’ il Wall Street Journal a rivelare i grossi nomi dell’industria che stanno “tirando i remi in barca”, spostano fondi per non tenere più liquidità in Grecia o altre nazioni considerate a rischio. C’è il colosso farmaceutico GlaxoSmithKline, c’è il gigante delle bevande Diageo. Ci sono fior di multinazionali europee come la Heineken olandese, il tour operator tedesco Tui, la catena inglese di supermercati elettronici Dixons. In media il 20% delle imprese tedesche ammettono di avere in corso una sorta di “piano di evacuazione”. Alcune società di consulenza come Roland Berger, o grandi studi legali internazionali come Linklaters, fanno gli straordinari per rispondere all’assedio dei clienti, cioè le multinazionali in cerca di aiuto su come smobilitare il più presto possibile dai paesi a rischio dell’eurozona. O quantomeno ridurre i danni, nell’eventualità peggiore. Gli scenari contemplati vanno “dalla paralisi dei pagamenti trans-frontalieri, all’anarchia civile in Grecia, fino alla disintegrazione generale dell’Unione monetaria europea”. Le misure precauzionali prese dai big dell’industria: ‘Al primo posto mettere in salvo il cash, per non vederselo trasformato in dracme, o congelato da improvvise restrizioni sui movimenti di capitali’. (…)
Il Wall Street Journal spiega che i piani di evacuazione delle multinazionali dalla zona euro sono “gli stessi che furono messi a punto e collaudati più di un anno fa verso i paesi del Nordafrica coinvolti nella primavera araba”. Un paragone che certo non depone a favore di Atene e Madrid. Tra le misure già avviate dalle multinazionali più prudenti: “Esigere dai clienti locali dei pagamenti anticipati al 50%, accorciare l’incasso delle fatture a 15 giorni”. Lo chiamano ‘contingency plan’ ma assomiglia di più ai preparativi di una ritirata strategica. Nel settore assicurativo, due colossi come Allianz Natixis avrebbero già sospeso le polizze di garanzia sulle esportazioni verso la Grecia, considerando troppo elevato il rischio che gli importatori locali non paghino più la merce, oppuro saldino i debiti in una nuova moneta locale pesantemente svalutata. Nella grande distribuzione, la catena francese degli ipermercati Carrefour avrebbe ridotto gli approvvigionamenti di beni di largo consumo dei marchi Nestlé, Danone, Procter&Gamble. E’ una spirale della sfiducia autodistruttiva, che si auto-amplifica: dal fuggi fuggi precauzionale delle multinazionali non può che venire un altro colpo alla fragilissima economia greca” e all’eurozona tutta.
A spaventare mercati e investitori, grandi multinazionali e correntisti non tanto e non solo la Grecia, apparentemente sempre più indirizzata verso il default, ma la Spagna. Con Atene, in un certo senso, si era scherzato. Il buco nel settore del credito spagnolo si aggira sui 60 /70 miliardi di euro e per le banche iberiche sembra inevitabile un piano di ricapitalizzazione da parte del Fondo europeo salvataggi e del Fmi. Il primo ministro spagnolo Rajoy vorrebbe evitare un salvataggio esterno ma, la conferma dei dati citati (tra una settimana l’Fmi presenterà le sue stime) e l’esposizione tedesca in terra spagnola, i dati ufficiali di fine 2011 dicono che il sistema bancario tedesco era esposto sulla Spagna per 146 miliardi di dollari, renderanno questa scelta praticamente obbligata.
Un’uscita della Grecia dalla moneta unica, in un paragone medico, rappresentava una sorta di amputazione dolorosa ma non tale da mettere in gioco la sopravvivenza del “paziente euro”. Se il contagio raggiungerà però Madrid il male non sarà forse più curabile, nemmeno con atti estremi come l’amputazione. Ragionamenti di questo tipo spingono i correntisti spagnoli a ritirare i risparmi, le multinazionali a ridurre la loro esposizione in Europa e, si spera, i governi a superare le loro divisioni e fare qualcosa per salvare la barca.
In questo senso vanno anche le dichiarazioni di Mario Draghi e George Soros, presidente della Bce il primo e “guru” dell’economia il secondo. Draghi ha chiesto, in sostanza, alla politica di fare la sua parte fornendo le istituzioni europee, come la Bce, degli strumenti che gli servono per contrastare la deriva: dalle garanzie comuni sui debiti sino ad una politica economica unica. Soros invece ha ammonito i leader del vecchio continente che di tempo non ce n’è più. Ogni giorno che passa produce sfiducia, e la sfiducia crisi, una spirale che si avvita su se stessa ogni giorno di più. Il super-gestore de Quantum Fund che semiaffondò la lira – e sembrò allontanare l’Italia dall’euro – stima in 100 giorni, appena tre mesi, il tempo a disposizione della politica per salvare la moneta unica. Come a dire “non è più tempo di scherzare”.
In un panorama simile non poteva aspettarsi un’ estate facile il premier italiano. Anche se l’Italia non è infatti più l’osservata speciale, scavalcata in questo infelice compito dalla Spagna, Monti sarà comunque alle prese nei prossimi mesi con problemi su due fronti: internazionale ed interno. A Roma se la dovrà vedere con Pd e Pdl che frenano sull’approvazione del fiscal compact, rimandarla è la parola d’ordine, e i decreti per la ripresa economica del Paese. Mentre fuori dai confini nazionali l’aspettano vertici internazionali non all’acqua di rose e la necessità di portare a casa qualcosa dall’Europa, pena la rottura del non già stabile equilibrio della maggioranza che lo sostiene in Parlamento.