MILANO – Storia di uno spread: da 575 punti a 373 in meno di un mese. Trenta giorni di montagne russe in cui un governo è caduto ed uno nuovo si è insediato, trenta giorni in cui si sono avvicendati record di rendimento dei titoli di Stato e interventi di salvataggio delle banche centrali. Trenta giorni, dal 9 novembre al 5 dicembre, in cui l’Italia è passata da essere la pietra che avrebbe affondato l’euro a potenziale punto di partenza per una nuova Europa dall’economia unita.
I quasi 600 punti di spread tra i titoli di Stato nostrani e quelli tedeschi di inizio novembre non erano solo colpa di Berlusconi, certo lui ci ha messo del suo, come Monti ci ha messo del suo nel riportare il differenziale sotto quota 400, oggi (6 dicembre a metà giornata della borse) addirittura sotto quota 370. Ma le montagne russe del famigerato spread, 575 il 9 novembre, 471 il 18, 511 il 25, 451 il 2 dicembre, sono fatte anche di altro, non ultimo il fatto che anche i titoli tedeschi hanno cominciato a pagare interessi più alti, riducendo di conseguenza il differenziale.
Quello che è certo è che la manovra presentata dal nuovo esecutivo ha portato una ventata di fiducia sui mercati, ieri euforici e oggi cautamente ottimisti. E questo perché la manovra italiana, oltre a rendere l’Italia almeno “presentabile” ai mercati, potrebbe aprire le porte alle riforme strutturali attese dall’Europa. Il presidente francese Nicolas Sarkozy e la cancelliera tedesca Angela Merkel, sebbene restino alcune divergenze, sono consapevoli che la strada da percorrere sia quella dell’unificazione fiscale che “tolga” agli Stati una fetta di sovranità sulla politica di bilancio. Tutti, sul mercato, si aspettano che venerdì sarà proprio questo progetto ad essere annunciato al vertice Ue. Per farlo, però, è necessario che vengano rispettate alcune condizioni preliminari.
La prima è ovvia: gli Stati nazionali devono fare la «loro parte». È in quest’ottica che la manovra da 30 miliardi del governo Monti è stata salutata con così tanto entusiasmo sui mercati obbligazionari. Ma per il mercato il piatto forte è un altro: se dal vertice europeo di venerdì emergesse veramente un percorso chiaro e definito verso l’unione fiscale, si creerebbero i presupposti per un rafforzamento dell’Europa. E per un’azione più incisiva da parte della Bce. Per questa ragione, dalla cura Monti, hanno tratto benefici anche le altre borse europee, e tutti i titoli di Stato del vecchio continente. La Spagna ha ridotto gli spread di 58 punti base (a 286), il Portogallo di 54 (a 1.013), la Francia di 19 (a 91).
Anche la curva dei rendimenti dei titoli del nostro Paese, seppur ancora non tornata alla normalità, è stata indirizzata verso la giusta direzione dalla manovra Monti. La curva dei rendimenti dei tassi d’interesse è la relazione che lega i rendimenti dei titoli con scadenze diverse alle rispettive maturità. In fasi normali i tassi dei titoli a breve scadenza sono inferiori rispetto a quelli dei titoli a lunga scadenza. In casi estremi, vedi la Grecia, il rapporto s’inverte. In Italia i tassi a breve erano arrivati a superare quelli a lungo termine toccando record insostenibili per la nostra economia. Oggi i rendimenti sono più o meno pari, ma tutti sotto la soglia psicologica del 6%. Il 9 novembre, giorno più critico, i Bot a 12 mesi erano arrivati a pagare il 9.47%, surclassando i Btp a 2 anni, fermi al 7.24, e anche quelli a 10 anni, al 7.25. Oggi gli stessi titoli rendono rispettivamente il 5.23, i Bot a 12 mesi; il 5.40 i Btp a 2 anni e il 5.93 quelli a 10 anni. Gli investitori, che nelle ultime settimane avevano iper-venduto i titoli di Stato, sono stati quasi “costretti” a ricomprare: nessuno vuole farsi trovare spiazzato un domani, qualora l’Europa facesse veramente quello che oggi promette.
Detto questo, però, i dubbi sono ancora tanti. Uno su tutti: l’Europa deve fare quello che ormai i mercati si aspettano. «Se questo non accadesse – scrivevano ieri gli economisti di Barclays –, la delusione sarebbe elevata». Lo spread ha ora imboccato la discesa delle sue montagne russe, ma non è detto che non ci sia una nuova salita dietro l’angolo. La palla è ora in mano all’Europa.