ROMA – Pochissimi, maledetti e mai i soldi che i politici pagano come contributo all’emergenza paese. E perchè mai è andata anche stavolta così, nonostante più d’uno al governo avesse capito l’ovvio, e cioè che se i politici la facevano franca al paese intero la cosa faceva letteralmente schifo? Perché il governo ha visto crescere in Parlamento “l’effetto avvocati”: se tagliava i soldi ai parlamentari davvero, allora un bel gruppo di parlamentari avrebbe affossato la manovra. Era un rischio concreto, è stata una minaccia sussurrata ma non inventata. I difensori degli interessi delle corporazioni professionali hanno obbligato il governo a lasciar perdere ogni timida riforma delle professioni. I difensori della “professione” onorevole hanno fatto capire al governo che era meglio lasciar perdere i loro portafogli. Quindi… Ticket della sanità per tutti? Subito! Stipendi più magri per i parlamentari? La prossima volta…. Nella finanziaria lacrime e sangue che dovrà risanare il bilancio dello Stato, nella finanziaria che dovrebbe valere tra i 70 e i 90 miliardi di euro tra tagli di spesa e nuove tasse, ci sono appunto tagli per tutto e per tutti, tranne che per i politici. Per loro una sforbiciata, si fa per dire, di appena 8 milioni di euro. Qualcosa di meno costoso per loro di una elaborata presa in giro. Sono andati sul semplice e schietto: si sono chiamati fuori dalla manovra. Eppure in Parlamento proposte concrete per far partecipare la casta politica al risanamento dei conti ne erano state presentate, e molte. Tutte bocciate. Il ministro Tremonti ha detto che “come sul Titanic nemmeno la prima classe si salva”, la prima forse no, ma il comandante e l’equipaggio si sono conservati una scialuppa larga e comoda, per la gioia della lobby dei parlamentari troppo forte per un governo debole come quello di Silvio Berlusconi.
Nella manovra finanziaria i tagli ai costi della politica sono simbolici, e comunque, a differenza dei tagli per i cittadini, non partiranno da subito, ma da “domani”. Meno di 8 milioni di euro quelli immediati: l’uno per mille della manovra. Le novità sono: voli di Stato riservati solo alle cinque più alte cariche (ma ci possono essere eccezioni), auto blu di cilindrata non superiore ai 1600 cc (ma per le più alte cariche può anche superarla), taglio del 20% agli stanziamenti per Cnel, autorità indipendenti, Consob e organi di autogoverno della magistratura, rimborsi elettorali ai partiti dovuti solo fin quando dura la legislatura (e non più, com’è stato finora, anche quando la legislatura si interrompe).
E se le cosiddette “pensioni d’oro” non solo non saranno più rivalutate ma saranno addirittura decurtate per solidarietà, meno solidali saranno i compensi dei parlamentari. L’adeguamento degli stipendi alla media (ben più bassa) europea (anzi, dei «sei principali Stati dell’area euro», come specifica un emendamento approvato al Senato), così come il taglio del 10% dei rimborsi elettorali ai partiti, scatteranno solo dalla prossima legislatura. «Ci sarebbe stato il ricorso del funzionario e tutto si sarebbe bloccato», ha giustificato la scelta Tremonti. Starà tranquillo il ministro Rotondi, che subito si era preoccupato di quei parlamentari «costretti a fare il conto della serva», con appena 4 mila euro al mese per la famiglia…
Eppure le opposizioni avevano presentato più d’una proposta per mettere mano alla montagna di denaro che va sotto il nome generico di “costi della politica”. Ben 22 erano gli emendamenti presentati in commissione al Senato, di cui parecchi sui costi della politica. «Un pacchetto serio, non una presa in giro», sospira il senatore Pd Giovanni Legnini, relatore di minoranza della manovra a Palazzo Madama, ma nonostante l’apertura di Tremonti, «ci aveva detto che se ne poteva discutere» sono stati «tutti bocciati 12 a 13», in Commissione siedono in 25. Qualche esempio delle modifiche chieste da Pd, Udc e Idv insieme: prima di tutto anticipare al 2012 dell’adeguamento degli stipendi all’area euro, senza aspettare la prossima legislatura. Una norma sui vitalizi parlamentari, per adeguarli al sistema contributivo di tutti i lavoratori dipendenti. Inclusione del referendum nell’election day (votare a giugno su acqua e nucleare senza accorpamento con le amministrative è costato 300 milioni). Una sola società pubblica per gli enti locali, per chiuderne migliaia di altre con i loro consigli di amministrazione. Divieto di cumulo di cariche, tramite l’istituzione di alcune incompatibilità. E poi anche su auto e voli blu si prevedevano norme più stringenti: ad esempio, precluso l’uso della macchina di servizio «per i trasferimenti da e per lavoro». «Di tutto questo, il governo non ha accolto nulla», tira le somme il relatore di minoranza, «senza darci alcuna spiegazione». Tra le proposte c’era anche quella di accorpare le province con meno di 500 mila abitanti, bocciata, come bocciata era stata la proposta, grazie anche all’astensione del PD alcuni giorni fa, di abolire del tutto le provincie.
Tutto bocciato o rimandato alla prossima legislatura quindi. La volontà, se mai davvero c’è stata, di tagliare i costi della politica si è scontrata con quella fetta di umanità che siede in Parlamento e che pensa prima agli affari suoi che agli affari del paese. Come i notai e gli avvocati che popolano le fila del Pdl hanno bloccato la liberalizzazione degli ordini professionali, allo stesso modo i parlamentari della maggioranza, una fetta per carità, non tutti, hanno bloccato i tagli alla politica. Non una battaglia di principio, ma una battaglia d’interesse. Una maggioranza forte, composta da persone responsabili (non dagli ex Responsabili come Scilipoti), avrebbe potuto superare un simile scoglio. Ma un governo come quello presieduto da Silvio Berlusconi, con una risicata maggioranza di voti in Parlamento, tenuta insieme più da piccoli interessi che da grandi ideali, ha dovuto invece cedere a questo ricatto. Il rischio, alto, era quello di veder bocciata tutta la manovra, con conseguente crisi di governo e peggio, molto peggio, crisi della residua credibilità italiana sui mercati se il manipolo dei “responsabili degli affari propri” avesse votato no alla fiducia per difendere i propri interessi. E’ andata così, molti di loro, di quelli che siedono in Parlamento, sono fatti così. Così non son sempre stati, neanche nella vituperata Prima Repubblica. Così non sono sempre stati a sinistra e a destra. Così sono in “questa” Repubblica, soprattutto nel Pdl. Sorge il dubbio che siano così non per caso ma perché sono stati “selezionati” così e siano stati giudicati meritevoli di un seggio e affidabili perché, ancor prima di diventare parlamentari, erano soldati e apostoli della religione che comanda: i fatti miei, il mio portafoglio viene prima di tutto. Erano nella “società”, qualcuno li ha portati in Parlamento non per caso ma proprio perché erano proprio così.
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