ROMA – Il Sinodo sulla famiglia che si terrà a ottobre e nell’anno prossimo agita la Chiesa. Per la prima volta in tempi moderni cinque cardinali, capeggiati dal tedesco Gerhard Ludwig Müller, contestano pubblicamente le tesi del cardinale Walter Kasper, tedesco anche lui, incaricato da Papa Francesco di stendere il documento del confronto.
La questione principale della divisione riguarda la comunione ai divorziati risposati, ai quali oggi il sacramento è negato. In punta di dottrina e di tradizione, è in atto uno scontro fra teologi, fra canonisti, fra storici della prassi cristiana. Per alcuni versi è messa in discussione la stessa autorità del Papa che ha posto il tema all’attenzione del Sinodo e che adesso si trova ad affrontare un bel dilemma.
Francesco è un alfiere, il più titolato, della misericordia di Dio anche per i peccatori. I suoi critici gli ribattono che la fedeltà alla dottrina ha la precedenza e che il divorzio rimane un peccato grave, che non può consentire al peccatore il ritorno all’eucarestia. La disputa, che sta assumendo toni da rottura, mette in pericolo l’unità della Chiesa e rimanda alle tesi affisse da Martin Lutero nel 1517 sulla porta della chiesa di Wittenberg, che causarono lo scisma protestante.
Neanche il Concilio di Trento (1545-1563) riuscì a ricucire la ferita che, alimentata da interessi di re e imperatori, staccò dal papà di Roma buona parte della Germania, dell’Austria e del nord Europa. Il papato, in quel tempo, era un regno con corona ed esercito. E i padri conciliari dovettero camminare sulle uova delle spinte politiche. Discussero, bisticciarono, talvolta arrivarono alle mani.
La riforma cattolica partorita a Trento non convinse i luterani, che alle sessioni non parteciparono nemmeno, ma fu un svolta per la Chiesa di Roma che mise un po’ d’ordine nei sacramenti, negli episcopati e fra i preti (furono istituiti i seminari), nei riti e nella prassi.
I gesuiti appena riconosciuti come ordine (1540) diedero un contributo assai significativo alla riforma e se ne fecero portatori come missione. Discorso preso un po’ alla larga per dire che Francesco, primo Papa gesuita, sente che la Chiesa ha bisogno di “riformarsi” nel tempo che viviamo.
I conservatori gli rimproverano, invece, una volontà di “adeguarsi” ai tempi che viviamo. Forse si scordano che, dottrina o meno, la Chiesa cerca da duemila anni di navigare nelle acque del mondo. Ora, la disputa è a livelli così alti che intervenire da profani non si può.
Ma, vista laicamente, si ha l’impressione che -sia i riformatori sia i conservatori- abbiano davanti lo spettro del declino irreversibile della cristianità (profetico Sergio Quinzio ne “La fede sepolta”, Adelphi). Ecco forse il punto vero dello scontro è proprio questo. La comunione o meno ai divorziati è la punta dell’iceberg di un cristianesimo decrescente. I matrimoni religiosi sono in calo vertiginoso, le chiese sono vuote o destinate ad usi profani, i seminari sono semideserti, i confessionali sono perlopiù arredo d’antiquariato.
E non parliamo dei costumi sempre meno rispettosi del sacro. Se avete avuto occasione di guardare foto e filmati del matrimonio in chiesa di Elisabetta Canalis, vi sarete fatta un’idea. L’ospite Belen seminuda come a Sanremo, esclusa farfallina ma non tutto il resto. Superfluo ricordare che il pudore non è un sacramento, ma la fede merita almeno il buon gusto. Il povero Francesco sa che la situazione è questa e pensa che la Chiesa debba cercare una qualche sintonia col mondo per continuare nella sua missione.
Lo sanno anche i suoi critici che pensano invece debba essere il mondo a cercare una sintonia con la fede e chi c’è c’è. L’impressione è che ormai il mondo, giusto o sbagliato che sia, guardi da un’altra parte.
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