Mentre lo Istituto di previdenza dei giornalisti italiani (Inpgi) si dibatte nelle ambasce di una crisi aggravata da una leadership in preda a difficoltà di immagine e giudiziarie, un collega di Milano, Massimo Borgomaneri, componente del Cdr delle Edizioni Del Duca e dello Sportello di assistenza dell’Alg (Associazione lombarda dei giornalisti), ha scritto un interessante articolo molto con i piedi per terra e pieno di buon senso, che voglio proporvi.
L’articolo fotografa la situazione dell’Inpgi dal punto di vista di un sindacalista di strada. La sintesi è: “Recuperare all’Istituto i giornalisti degli uffici stampa è un ottimo obiettivo, ma, a mio avviso, basterebbe far rientrare nei ranghi la metà dei falsi cococo e delle false partite Iva nonché di precari e abusivi per cambiare in meglio i destini dell’ente. Modi e strumenti ci sono. Basta agire”.
Due parole sulla situazione Inpgi vista da un sindacalista da strada che da molti anni si occupa di assistenza ai colleghi. Non voglio qui entrare nel merito del rapporto tra crisi economica dell’Ente e misure prese per superarla, il che com’è logico sta portando alle pesanti conseguenze sulle prestazioni agli iscritti note a tutti. Di ciò si sta dibattendo con dovizia di particolari e adeguata competenza in molte sedi. Tuttavia nel corso degli anni mi sono fatto un’ idea precisa su alcuni dei motivi che hanno portato a questo tracollo del numero e della qualità dei contribuenti, una convinzione che prescinde dalla lunga crisi attuale, tant’è che ho cercato di trasmetterla già in tempi di relativa pace in ogni sede a tutti i colleghi che si occupano di sindacato. Purtroppo con ben scarsi risultati. Dicevo che mi occupo praticamente dall’alba di questo secolo dello sportello di assistenza ai colleghi dell’Associazione lombarda giornalisti. E in questi 15 anni ho incontrato e dato una mano a decine e decine di colleghi. Tenete presente che la Lombardia è la regione col maggior numero di iscritti al sindacato, com’e ovvio dato che si tratta della regione più ricca e di gran lunga più popolosa d’Italia (oltre 10 milioni di persone). E col maggior numero di giornalisti contribuenti all’Inpgi nonché soprattutto col maggior numero di “esercizi abusivi della professione”. Io per la verità preferisco definirli i “braccianti della notizia”. Un fenomeno vastissimo. Come definire altrimenti i molti colleghi che si occupano di fare uscire i tanti bollettini e giornaletti di news locale cartacei o virtuali sparsi sul territorio lombardo, magari per 500 euro al mese in nero e senza neppure ottenere un tesserino da pubblicista, tenacemente negato dal direttore della testata? Come definire altrimenti gli appartenenti a case editrici di non marginali dimensioni, magari in piena Milano, inquadrati con i più diversi contratti di lavoro o con partite iva, i più fortunati col Fnsi-Fieg al minimo sindacale da redattore ordinario (ro), eppure investiti da cariche roboanti (da “direttore” in giù) senza un centesimo in più in busta paga? Come chiamare in altro modo le decine di colleghi che lavorano quotidianamente per meno di mille euro al mese a ritenuta d’acconto per siti che commistionano bellamente news e pubblicità on-line, alle dipendenze di una casa editrice remota e gestiti da un “direttore” sconosciuto e irraggiungibile? E vogliamo parlare del grande gruppo di nome con tanto di cdr e fiduciari, magari in “stato di crisi” e che intanto inquadra colleghi con falsi cococo o con partite Iva per testate di supporto? Per non parlare di situazioni del tutto simili in cui versano tanti giornalisti di radio e tv locali, si badi, in genere ell’indifferenza dei preposti cdr e fiduciari. L’elenco delle situazioni di totale “deregulation” o di demansionamento di fatto è sterminato e solo il rispetto verso la discrezione in genere richiesta dai colleghi interessati mi impedisce di fare nomi e indirizzi. Qui la crisi non c’entra nulla. L’evasione fiscale e contributiva è una piaga storica di questo paese, in barba ai contratti depotenziati, agli sgravi contributivi per nuove assunzioni e altre facilitazioni concesse agli editori negli ultimi decenni. Il tutto è fiancheggiato sempre più dalla scarsa coscienza sindacale di buona parte dei colleghi, frutto avvelenato dei recenti andamenti politici, sociali e culturali. Si dirà: e il servizio ispettivo? Quello è uno degli strumenti di contrasto più efficaci che si abbia in dotazione nel nostro “piccolo” mondo. E infatti funziona. Diverse delle situazioni prima descritte sono state raggiunte e “bonificate” proprio dal nostro servizio ispettivo. Che però andrebbe molto potenziato in relazione alle troppe situazioni “border line” sparse su un territorio così articolato. Ma soprattutto occorre una precisa volontà politica di intervento da parte del nostro sindacato e degli istituti collegati. Per troppi lustri si è tollerato questo andazzo senza regole in nome della tutela dei posti di lavoro. Ma che posto di lavoro sono quelli che non danno neppure di che vivere all’interessato e zero alla sua pensione in fieri? Recuperare all’Inpgi i giornalisti degli uffici stampa è un ottimo obiettivo, ma, a mio avviso, insieme basterebbe far rientrare nei ranghi la metà di questa diffusissima “deregulation” per cambiare in meglio i destini dell’Inpgi. Modi e strumenti ci sono. Basta agire.