GENOVA – Una scena come questa non si era mai vista nella Prima, nella Seconda e forse anche in questa Terza Repubblica nascente o morente, mentre si entra nel week end elettorale. Nella grande piazza genovese del Palazzo Ducale, di fianco all’austera facciata arcivescovile dove abita il cardinale arcivescovo, Angelo Bagnasco e dove avevano dimorato e officiato gli storici cardinali dell’epoca recente Boetto, Siri, Canestri, Tettamanzi e Bertone, va in onda il comizio finale di lancio da parte del centrosinistra del candidato sindaco professor Marco Doria, della storica famiglia, marchese diseredato e scelto con le primarie nel febbraio scorso.
Più di mille militanti agitano le bandiere della coalizione di Sinistra, i notabili e i tifosi sono tutti presenti sotto l’occhio compiaciuto del segretario nazionale del Pd, Pier Luigi Bersani, che ha scelto Genova per chiudere in Italia la complicata campagna elettorale, consumata nel regno del governo Monti.
Ci sono perfino i contestatori della No Tav che rumoreggiano sullo sfondo, separati da una muraglia di poliziotti in assetto anti sommossa. Parla Doria ed è il suo primo discorso-comizio, dopo decine e decine di dibattiti, convegni, faccia a faccia. Insomma è la prima piazza vera che il professore di Economia affronta e per di più davanti a tutto lo stato maggiore del suo partito e della sua coalizione, di fronte al sindaco da lui sconfitto nelle primarie, Marta Vincenzi, che provocatoriamente andrà a mettersi tra il pubblico in seconda fila e dovranno venire a trascinarla sul palco, perchè la folla del Pd e degli alleati di sinistra deve tributarle almeno un saluto e Bersani deve consegnarle un mazzo di fiori, tra gelidi applausi.
L’altra concorrente sconfitta delle primarie, la Senatrice, Roberta Pinotti se ne sta con spessi occhiali scuri, seminascosta tra l’establishment locale di onorevoli, consiglieri comunali e regionali, entranti e uscenti, un passo dietro Claudio Burlando, il presidente della Regione.
Insomma, il momento è grave e il cardinale Angelo Bagnasco lo ha caricato ancora più di attenzione perchè in mattinata, dal pulpito della cattedrale, a due passi dal palco, nel ventiduesimo anniversario dalla morte del suo insigne predecessore e modello, il cardinale Giuseppe Siri, nel pieno della solenne messa in suffragio – organo, chierichetti, turibolazioni, liturgia al massimo – ha raccomandato ai suoi preti, impugnando il pastorale nella mano sinistra e con la mitra ben calcata in testa, di non permettersi di dare indicazioni specifiche di voto.
E’ stato come un ammonimento, una censura all’atteggiamento di un altro prete, di cui Blitz si è occupato recentemente, quel don Farinella, che appunto aveva raccomandato nelle sue prediche domenicali e negli articoli scritti per l’edizione genovese di “Repubblica” di votare Marco Doria. Una, due, tre volte quell’invito a votare e perchè e percome.
Quale richiamo più esplicito di questo? Ma cosa succede qualche ora dopo in quella piazza, su quel palco, di fronte ai militanti e con tutto l’apparatikit del Pd e della coalizione di centrosinistra quasi interamente schierato, salvo i soliti dissidenti dell’Idv? Succede che, seduto in pompa magna, unico non in piedi sul palco, c’è don Andrea Gallo, uno dei preti simbolo della città e non solo, promotore della candidatura di Marco Doria insieme ad altri sei personaggi genovesi, 83 anni e tutti i crismi dello show man politico non solo del prete da battaglia, da marciapiede, ma anche da talk show.
Il discorso di battesimo di Marco Doria è abbastanza tremebondo, non scalda molto i cuori, non lenisce le ferite che il centrosinistra genovese e in particolare il suo Pd della Vincenzi e della Pinotti, zarine sconfitte, ancora soffre tra musi lunghi, spalle voltate, battute al veleno sul palco e nella piazza. E allora cosa fa don Gallo, appena si è spento l’applauso di circostanza al discorso del candidato che non scalda i cuori? Afferra lui il microfono e si lancia in una appassionata concione sull’unità della sinistra. Guarda il popolo il prete-attore e lo abbraccia con ampi gesti e recita la sua parte e benedice il fatto che finalmente sono tutti lì uniti, pronti a riconquistare la città che governano da tanti anni. E’ un trascinatore il vecchio prete che già battagliava contro il cardinale Siri, ventidue anni fa ed oltre e che dal potente cardinale conservatore era stato perfino esiliato alla Capraia. Quello che Doria non era riuscito a fare, Gallo lo realizza talmente bene che per scaldare ancora di più riesce a far cantare insieme palco e piazza sulle note di una vecchia canzone russa, probabilmente della storica rivoluzione comunista.
Il prete intona e il pubblico segue. Uno spettacolo e un canto che arrivano sicuramente alle finestre del cardinale di oggi, Bagnasco, poche decine di metri più in là, oltre lo storico portale, in cima allo scalone che i politici di ieri e di oggi continuano a salire non certo per andarsi a prendere le censure che Bagnasco ha appena fatto risuonare dal microfono della cattedrale. Quelle sono dirette ai preti non a ministri e segretari di partito in ossequiante visita.
La piazza respira e anche Doria, supportato come mai nessun candidato nella storia delle contese comunali, può pensare che il popolo della Sinistra ora è tutto lì a sostenerlo.
Anche Bersani, che si presenta con un gigantesco mazzo di fiori in braccio per donarlo a Marta Vincenzi con una bugia plateale : “Ti vogliamo tutti bene”, invita all’unità e alla vittoria elettorale, al segnale che deve partire da Genova, una delle città più importanti di questa consultazione.
La scena è salva, lo show anche, grazie a Don Gallo, ma nel parterre la battaglia dentro alla sinistra è ancora senza esclusione di colpi. Non ci sono solo i vecchi compagni che scuotono la testa per quella tonaca che ha preso il sopravvento nel comizio, proprio la Vincenzi, prima di salire a malincuore sul palco per salvare le apparenze, aveva sentenziato che “il Pd o si rinnova o muore”. Come dire: avete scelto Doria, che non è un Pd e mi avete fregato con le Primarie che non dovevo fare perchè ero al primo mandato appena concluso e ora arrangiatevi. Bersani le risponderà, specificando che lui non è un esperto di funerali politici. Mica male come scambio, poco prima della recita sul palco.
Ben altre angosce più immediate scuotono la piazza di fine campagna elettorale. Lo spettro di un ballottaggio, cioè di un Doria costretto a “sopportare” un secondo turno elettorale, dopo quello di domenica, si aggira tra i militanti sulla base degli ultimi sondaggi “segreti”, che vengono compulsati freneticamente, per capire quale rumba balleranno i tredici candidati sindaci in corsa a Genova.
Uno degli ultimi e più accreditati segnala Doria tra il 44 e il 48 per cento, un altro appena sopra il 50 per cento. Il contendente dell’eventuale ballottaggio sarebbe il candidato “civico” Enrico Musso, anche lui professore di Economia all’Università e senatore eletto nelle fila di Forza Italia, poi autore di uno strappo clamoroso dal Cavaliere. Sarebbe la seconda volta che il candidato democrat subisce il secondo turno. E la volta precedente il candidato Beppe Pericu, poi sindaco per dieci anni, aveva vinto con un distacco minimo, 7500 voti in più del concorrente, un medico leghista, Sergio Castellaneta.
Domenica e lunedì saranno chiamati a votare 502 mila genovesi su una popolazione di 600 mila. E già questo dato dimostra qual è il problema numero uno della città, il suo invecchiamento esponenziale: solo in settantamila hanno meno di 18 anni. E ci sono trecentodieci cittadini con più di cento anni! Secondo problema: rispetto a cinque anni fa la popolazione votante è scesa di ventimila unità. Una città che invecchia e che si spopola. Altro che cantare e ballare con Don Gallo al suono della canzone russa che più o meno suona così: “Ociciiorni, ocici orni…….”.