Blitz, opportunamente, ha dato risalto alle parole in libertà, ed usiamo un eufemismo per rispetto alle giornate pasquali, pronunciate da Carlo Giovanardi in relazione alla morte violenta del giovane Federico Aldrovandi e alla sconcertante gazzarra, promossa da un sindacato di polizia, sotto le finestre dell’ufficio dove lavora la mamma della vittima.
Per altro più giudici hanno già pronunciato la sentenza e i colpevoli sono stati o sono ancora in carcere, anche se tra poco usciranno, forse torneranno sulle volanti di Ferrara e magari con tanto di divisa, gli capiterà pure di chiedere le generalità ai familiari di Federico.
Quello che sorprende è che, ancora oggi, si voglia negare l’evidenza, cancellare le evidenze processuali, infangare la memoria di chi non c’è più, perché ” È stato ammazzato un ragazzo” per riprendere il titolo del film documentario curato da Filippo Vendemmiati e Marino Cancellari, che tanto ha contribuito a rompere il muro del silenzio e dell’omertà.
Proprio Vendemmiati, giornalista e scrittore, tramite articolo 21, ha voluto rispondere al cittadino Carlo Giovanardi; ci sembra giusto cedergli questo spazio:
“Promemoria sul caso Aldrovandi ad uso e consumo del cittadino on. Giovanardi: di Filippo Vendemmiati
Onorevole, di Lei non posso nemmeno dire che ha la fronte inutilmente spaziosa, come in un memorabile fondo sull’Unità Fortebraccio descrisse il socialdemocratico Antonio Cariglia, perché la laurea in giurisprudenza le ha consumato pure quella. Siede in parlamento da 21 anni, ha reso servizio alla patria nell’Arma dei carabinieri, ex democratico cristiano, oggi fedele nei secoli a Berlusconi che l’ha fatta ministro e sottosegretario alla presidenza del consiglio, tanto per citare solo alcune delle tante cariche governative. Ma non per questo sarà ricordato. Lei, onorevole Giovanardi, cattolico praticante, così dice, passerà alla storia come il più implacabile fustigatore di vittime prive diritto di replica, essendo scomparse per morte violenta. La madre di Federico Aldrovandi ha deciso di querelarla e spero faccia altrettanto Ilaria Cucci per le accuse false e infamanti indirizzate ai loro famigliari, il figlio Federico e il fratello Stefano. Non so quale diabolico tormento la porti ad insultare così gratuitamente, senza nemmeno il ritegno della umana pietas che la sua fede, sempre invocata, dovrebbe suggerirle. Lo confesso, la sua persona mi provoca fastidio, perché la sua volgarità questa volta ha superato ogni limite. Non per questo mi sottraggo al mio compito, sempre più difficile e vituperato, anche a ragione di questi tempi. Il compito di informare, di rendere noti senza pedanteria anche a Lei alcuni fatti. Le lascio questo piccolo promemoria. Se crede, lo rilegga due o tre volte come una preghiera prima di addormentarsi. Forse sognerà un ragazzo di 18 anni, massacrato di botte senza “un motivo apparente” da quattro agenti di polizia che le verrà incontro e sorridendo le dirà:
– 1 Mi chiamo Federico Aldrovandi, e non Aldovrandi.
– 2 Mia madre è dipendente comunale, mio padre ispettore di polizia comunale, mio nonno carabiniere.
– 3 Non sono un eroinomane come Lei disse di me in parlamento da ministro nel febbraio del 2006
– 4 Quella sera non ero ubriaco, né drogato. Lo confesso, mi ero fatto due canne.
– 5 Quando arrivai nel giardinetto di via Ippodromo a Ferrara, c’era già parcheggiata una volante con due agenti a bordo
– 6 È scoppiata una lite violenta, ma non posso dirle perché, la verità la devono scoprire gli uomini in terra.
– 7 Mi hanno picchiato in quattro per almeno mezz’ora, manganelli (due si sono rotti), calci e pugni. L’autopsia ha riscontrato 57 ferite compatibili con azioni violente. Un vostro giudice ha scritto: “Per ognuna di queste ferite sarebbe stato possibile aprire un procedimento per lesioni colpose”.
– 8 Ho chiesto aiuto invano, non credevano che mi chiamassi Federico, uno li loro mi ha scambiato per un extracomunitario, mi sono saliti sulla schiena con le ginocchia, mi è mancato il respiro e sono morto
– 9 Poi sono stato ucciso anche altre volte: quando mi hanno lasciato per ore sull’asfalto, senza rispondere al mio cellulare quando chiamavano i miei genitori. E’ stato allora che mi hanno fotografato. Che brutta foto! L’ho vista per la prima volta nelle manifestazioni portata in giro dai miei amici. Ah è vero, lei non lo può ricordare perchè non c’era. Poi quella foto è entrata anche nelle aule dei tribunali. Io ricordo solo una sensazione di caldo attorno alla mia testa, l’odore di sangue e la durezza dell’asfalto. Magari, onorevole, mi avessero messo un cuscino sotto la testa, pensi non mi hanno nemmeno coperto con un lenzuolo.
Tutto qui, non voglio tediarla. Le chiedo solo un piccolo favore personale: non è necessario credermi, magari un giorno ci incontreremo e avremo più tempo per conoscerci e spiegarci. Nel frattempo il favore è un altro: per cortesia, onorevole Carlo Giovanardi, lasci in pace i miei genitori, Patrizia e Lino,e mio fratello Stefano. Dio quanto mi mancano, lei non può immaginate quanto!
Buona Pasqua. Federico”.
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