“Le leggi elettorali è meglio cambiarle in Parlamento e non a colpi di referendum…”, così mi ha detto un saggio amico che, giustamente, crede nel primato della politica e nella centralità delle istituzioni democratiche, ma cosa fare quando la maggioranza non ha intenzione alcuna di cambiare una legge che il suo autore materiale , il ministro Roberto Calderoli, definisce una porcata?
Perchè mai Berlusconi dovrebbe rinunciare spontaneamente ad una legge che si è costruito su misura? Perchè rinunciare ad una” legge truffa” che ha rubato agli elettori il diritto di scegliere i propri rappresentanti, un diritto che è invece stato delegato in toto alle segreterie dei partiti? Non è forse questa una parte della questione morale, forse ancor più del barbiere di Montecitorio?
Con questa legge si è spezzato il rapporto tra eletto ed elettori, si è esaltato il principio di fedeltà e di obbedienza, rispetto all’obbligo di svolgere il proprio ufficio civico “senza obbligo di mandato” come peraltro recita la Costituzione.
Quasi tutti invocano il cambio di questa legge, ma, allo stato attuale, non esiste la minima possibilità che il Parlamento riesca ad approvare una qualsiasi riforma degna di questo nome.
Per queste ragioni ci sembra giusto condividere, almeno in questa occasione, la decisione di Arturo Parisi, di Antonio Di Pietro, di Mario Segni, di Sinistra e libertà, di decine e decine di associazioni della società civile, di promuovere un referendum per abrogare “la legge porcata” e per costringere tutte le forze politiche a confrontarsi anche con la prospettiva di una consultazione referendaria.
A poco servono ora le dispute sul modello elettorale migliore e preferibile, in questo contesto non ci sarà riforma alcuna, meglio dunque coinvolgere i cittadini, restituire anche a loro il diritto di farsi sentire, di reclamare rispetto per la dignità dell’elettore.
L’impresa non sarà facile, bisognerà raccogliere un milione di firme dal 7 agosto al 30 settembre, sarà difficile, quasi ai limiti dell’impossibile.
Eppure le stesse perplessità, gli stessi mugugni, gli stessi fastidi, si manifestarono quando centinaia di comitati civici decisero di raccogliere le firme per l’acqua pubblica, per il legittimo impedimento, per il no al nucleare, salvo poi salire tutti sul carro dei vincitori, quando una valanga di sì travolse il muro della indifferenza, della censura, del cosiddetto realismo dei professionisti della politica.
Questa volta sarà ancora più difficile, ma, proprio per questo, sarà ancora più importante dare una mano a chi, invece di stare a guardare, prova a ribellarsi al destino “cinico e baro” e alla prepotenza di chi considera la cosa pubblica alla stregua di un bene privato, di un affare di famiglia, peraltro di una famiglia poco amata e assai meno considerata…
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