Crisi e ripresa. Matteo Renzi stia al 3%, non tagli ma meno tasse e investimenti

Crisi e ripresa. Matteo Renzi stia al 3%, non tagli ma meno tasse e investimenti
Matteo Renzi e la maglia di Gomez: uscire dalla crisi non è fare un gol

Gustavo Piga ha scritto questo articolo per il suo blog, Gustavopiga.it

Questa crisi non se ne va, semplicemente perché non la facciamo andare via. Non la scacciamo perché non sappiamo combattere i suoi fantasmi.

Questa è una crisi da domanda, se lo mettano in testa i riformisti che chiedono non meglio specificate riforme a tutto spiano. I consumi delle famiglie crollano, non si utilizzano addirittura più i risparmi per attutire l’impatto dei minori redditi, così come gli investimenti delle imprese, perché non c’è fiducia nel futuro.

E la fiducia si nutre di ottimismo. E questo a sua volta si esalta con la coerenza e la forza comunicativa di chi ha il bastone del comando, lo sa qualsiasi grande generale.

Non c’è forza né coerenza della comunicazione da nessuna parte in Europa. Non ce n’è a Francoforte, dove Draghi sostiene che farà tutto quanto è necessario e in realtà non solo fa molto meno del necessario (l’inflazione dell’area euro è ben al di sotto del 2% previsto dal mandato per la BCE) ma soprattutto condiziona da sempre il suo aiuto a maggiore consolidamento fiscale (austerità) dei Governi dei Paesi in difficoltà; con una mano promettendo l’aiuto, con l’altra promettendo al contempo di toglierlo.

Come pensare che le imprese italiane vadano in banca a chiedere un prestito se sanno che l’attività economica non sarà stimolata da maggiore domanda pubblica in assenza di quella privata? Che razza di messaggio di politica economica è questo?

Non c’è poi alcuna forza né coerenza della comunicazione in Europa per definizione, perché la Commissione europea è un branco di tecnici incapaci di parlare alla gente (in fondo non è il loro mestiere) e perché 27 leader politici non possono esprimere un messaggio forte, mediando come fanno le posizioni ampiamente eterogenee di ognuno.

Ma non c’è forza né coerenza, e questa è la novità forse di questi giorni, nella politica economica italiana.

Come non rimanere strabiliati di fronte allo sforzo sovrumano (e da molti criticato) del premier Matteo Renzi di cercare di svegliare l’Europa dal suo torpore di ottusa austerità, e le parole solo pochi giorni dopo del suo Ministro più importante, Giancarlo Padoan, che al termine dell’incontro europeo con i suoi colleghi esclama come “consolidamento fiscale (cioè austerità) e riforme sono due facce (positive) della stessa medaglia”?

Non posso pensare che Renzi e Padoan si siano messi d’accordo per fare, il primo, il Buono e, il secondo, il Cattivo. E se lo hanno fatto, beh, ne esce fuori una sola figura: quella del Brutto, quello che manda un messaggio ambiguo ed incomprensibile, che non fa certo bene alla fiducia ed all’ottimismo di famiglie e imprenditori.

Ma anche Renzi deve decidersi: per influenzare con decisione gli umori del Paese in bene, deve dare una coerenza nella sua politica economica e non limitarsi a parlar male dell’Europa. Gli crederemmo tutti di più, in Europa e qui a casa, se avviasse con determinazione la spending review che trova gli sprechi e che non taglia la spesa pubblica a casaccio. Perché, parliamoci chiaro, se a settembre con la legge di stabilità taglierà di 20 miliardi la spesa a casaccio, siamo finiti, e lui con noi, ovviamente.

Quello che va fatto è “semplice” e lo ha detto bene Roberto Perotti sul Sole 24 Ore: fregarsene delle multe minacciate dall’Europa, svelandone il bluff, e rimanere col deficit incollato al 3% del PIL senza portarlo come chiede l’Europa all’1% nel 2016, e avviare, senza tagli folli e lineari ma con grande calma e instancabile precisione, l’individuazione di tutti gli sprechi là dove albergano massimamente, ovvero negli appalti pubblici. Un processo lungo e impegnativo, ma decisivo.

Come usare queste risorse? Perotti propone nella riduzione della tasse, io credo che si debbano fare investimenti pubblici. Renzi potrà fare il giusto mix.

A quel punto gli italiani lo seguiranno con convinzione, l’Europa non potrà dire nulla, famiglie ed imprese torneranno a domandare, i mercati ci ridaranno fiducia abbattendo lo spread e, forse, a quel punto, anche Draghi potrà aiutarci come deve, senza se e senza ma.

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