ROMA – Almaviva, cioè 1.666 licenziati a Roma, tutta la sede di Roma della società di comunicazioni e di call center. Con chi devono prendersela i 1.666 lavoratori da 24 ore senza più un posto di lavoro?
Certo con chi li ha licenziati, con chi altri se no? Certo devono prendersela con Almaviva ma altri con cui prendersela, e anche di più, ce ne sono, eccome se ce ne sono.
Almaviva ha dichiarato tempo fa una sorta di crisi aziendale, pesante, non poca cosa. Ed è partita una difficile trattativa. Vertenza nella quale nel momento peggiore è intervenuto anche il governo. Quando sembrava non ci fossero più margini per nulla, il governo ha convinto, più spinto che convinto, Almaviva a non chiudere e a ricorrere a cassa integrazione e dimissioni volontarie. Insomma il governo aveva spinto Almaviva a tenere aperti stabilimenti e lavoratori al loro posto per almeno altri sei mesi.
Poca cosa? Risultato misero da respingere? Almaviva voleva chiudere e non solo a Roma. Anche a Napoli e lì erano altri mille che se chiudeva andavano a spasso. Quando il governo ha “guadagnato” sei miseri mesii sindacalisti e i lavoratori di Napoli hanno pensato e calcolato che un accordo per non chiudere subito era meglio che tutti licenziati subito. Non che occorresse un grande calcolo…
I sindacalisti di Roma, le Rsu di Almaviva Roma hanno invece respinto l’accordo. A nome dei lavoratori hanno detto che sei mesi erano nulla e lotta dura…Quindi, accogliendo l’invito alla lotta dura, l’azienda ha mandato sollecitamente le 1.666 lettere di licenziamento. A quel punto i lavoratori di Almaviva Roma ci hanno ripensato, hanno organizzato una seconda consultazione in cui i Sì all’accordo sono stati circa 600 e circa 500 i No.
Ma erano voti di coccodrillo. L’azienda che voleva chiudere e la cui mano era stata temporaneamente fermata dal governo ha approfittato con buona dose di cinismo. Ma ha approfittato di quel che avevano apparecchiato le Rsu di Almaviva Roma. E’ stata la condotta sindacale a dare ad Almaviva azienda la licenza, il varco per licenziare qui e subito.
Certo che i 1.666 licenziati non possono, diciamo così, amare l’azienda che li licenzia, ripetiamo, non senza cinismo. Ma non possono prendersela davvero né con la globalizzazione, né con la crisi, tanto meno con il governo se il licenziamento è arrivato davvero, in massa e subito. L’azienda che licenzia a Roma è la stessa che non licenzia a Napoli.
E allora i licenziati devono prendersela con quei sindacalisti che non fanno accordi. Mai o quasi mai. Sindacalisti per cui firmare un accordo è resa se non tradimento. Sindacalisti così ce n’è più di quanti si creda. Non è un’ideologia quella che li anima, ma una cultura sì. La cultura della corda non si spezza mai perché se si spezza poi la ripara la mano pubblica, la cultura secondo la quale non esiste crisi aziendale che non possa e debba essere risolta con qualche emendamento o sussidio.
Con questo sindacalismo se la devono prendere i licenziati di Roma. Con questi sindacalisti che hanno smarrito, se mai lo hanno posseduto, il senso, il perché dell’azione sindacale. Un sindacato esiste per fare accordi, più ne fa più è un buon sindacato. Buono per i lavoratori, non sempre purtroppo per i sindacalisti, specie se “di base”.