ROMA- La Bce e le aste sui titoli di Stato, la Banca Centrale Europea e i mercati, Mario Draghi e i risparmiatori: tutti insieme e in un pugno di ore in una sola mattinata ci hanno ricordato che se decidi di incassare di meno e insisti a spendere quel che spendevi prima se non di più, allora è difficile che ti tornino i conti a fine anno e che ci si fidi di te più di tanto a prestarti soldi. Questo e non altro vuol dire la Bce quando avverte che l’Italia corre il rischio di chiudere il 2013 con un deficit superiore al tre per cento del Pil. Questo dicono le ultime aste dei Bpt dove i titoli di Stato a 15 e a tre anni vengono venduti pagando interessi sensibilmente più alti di appena uno-due mesi fa. Questo segnala lo spread in risalita verso quota 260.
Colpa della cosiddetta “instabilità politica” italiana? Sì e no. Per ora più no che sì. Il fatto, colpa o merito che sia decida ciascuno, è che l’Italia ha cancellato dalle entrate quattro miliardi di Imu e ne vuole cancellare altrettanti di Iva e vuole pagare alle imprese entro l’anno quaranta miliardi di debiti che Stato e Amministrazioni Pubbliche hanno verso le imprese. Il fatto è che l’Italia e il suo attuale governo vogliono fare questo e altro senza però davvero diminuire gli 840 miliardi di spesa pubblica. Quindi: entra di meno come gettito fiscale e dio solo sa se non è cosa utile e giusta. Però si spende come e più di prima in uscita. Ovvio che quando si vanno a chiedere soldi chi li presta chieda maggiori interessi a copertura del rischio i prestarli a te che spendi più di quanto incassi. E che vuoi incassare ancora meno l’anno prossimo (taglio del cuneo fiscale) ma non sai spendere un solo miliardo di euro in meno di denaro pubblico.
Non è l’instabilità politica, al contrario è un certo tipo di stabilità politica ed economica che ottiene e produce i soliti effetti: spendi tanto, dai qualcosa a tutti e poi fai tornare i conti o con le tasse o con il deficit. Con le tasse secondo la sinistra, con il deficit secondo la destra. Nulla di nuovo e infatti ci ribussano alla porta: la Bce, i mercati, la matematica. La Spagna non sta meglio di noi ma è percepita come più affidabile. Perché non ha come l’Italia un governo che oggi c’è e domani chissà. Ma soprattutto perché ha un piano e sta lavorando per far combaciare entrate e uscite. Noi no, in Italia no: in Italia l’unico piano è raccontarsi che sta finendo e che è l’ora di ridurre le tasse senza toccare la spesa.
Con questa idea ben salda e conficcata nella testa della pubblica opinione, con questi “trasversale” gestione e governo dell’economia, con questa “stabilità” a non dirsi mai la verità e a non turbare il grande seno della spesa pubblica che milioni e milioni di italiani allatta, insomma con la certezza che dalla crisi si esce senza dover poi cambiare i connotati al paese, si alimenta un’illusione, la grande illusione, illusione di maggioranza, anzi plebiscito di illusione perché tocca e coinvolge da chi vota Lega fino a chi vota M5S fino a chi non vota passando ovviamente per tutti gli altri elettorati.
L’illusione? Fuori dalla crisi? Se tutto va bene, tra sette/otto anni. Eccoli i veri conti del paese: rispetto al 2007 meno nove per cento di ricchezza prodotta. Meno 7,6% di consumi. Meno 27% di investimenti. Meno 25% la produzione industriale. Meno sette per cento abbondante l’occupazione (al netto dei cassa integrati). Pressione fiscale ufficiale al 44,5%, pressione fiscale per chi le tasse le paga davvero al 53,5%. Debito pubblico al 131,7% del Pil.
Non c’è più spazio per finanziare la spesa con le tasse, non c’è più spazio per finanziare la spesa con il debito. E quindi dalla crisi non si esce, anzi ci si resta dentro, se si continua a lavorare di tasse o di deficit e debito. Nove punti percentuali di Pil, quanti l’Italia ne ha oggi in meno rispetto al 2007, al ritmo del più un per cento che per ora è solo una speranzosa previsione per il 2014 forse 2015: cioè sette/otto anni per tornare a come stavamo nel 2007. Se tutto va bene e se va sottolineato una decina di volte. Questo ci promette, assicura e garantisce la stabilità che ci è consueta e cara: la stabilità dello spendere e distribuire senza limite e controllo, stabilità con oscillazione dalle tasse della sinistra al debito, potenzialmente insolvente, della sinistra.
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