Denuncia i corrotti nella sua Asl: arresti, e poi tornano come suoi capi

ROMA – Denunci quello che ritieni un ladro, un ladro che lavora in un ufficio pubblico e che usa quell’ufficio per estorcere mazzette. Dopo la tua denuncia la magistratura indaga e qualcosa trova che conferma la tua denuncia, infatti spedisce il ladro agli arresti domiciliari. Però fino a sentenza definitiva il ladro resta presunto tale e quindi la legge lo rimette in libertà fino appunto a sentenza definitiva. In libertà di tornare anche al posto di lavoro, nell’ufficio che occupava prima della denuncia. Quello stesso ufficio dove lavori tu che hai sporto denuncia, infatti il ladro presunto ma non immaginario è il tuo capo sul luogo di lavoro. E’ la storia che una email disperata ha raccontato a La Stampa e che il quotidiano torinese ha pubblicato domenica 22 aprile.

Tutto accade alla Asl di Foggia. Qui lavora un’ispettrice, Eugenia Addorisio. E qui lavora anche Antonio Fanelli, direttore dello Spsal, servizio prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro. Nella sanità pugliese lavora anche Nazario Di Stefano, all’ufficio patrimonio della Asl. Ci lavora nonostante abbia precedenti per rapina, furto e altri reati contro il patrimonio. Arrestato a marzo per truffa nell’acquisto di strumentazioni per gli ospedali della Asl una volta rimesso in libertà è tornato al suo posto. E al loro posto sono tornati altri funzionari coinvolti nelle indagini. Indagini su cosa? Lo racconta a La Stampa uno degli investigatori: “A quota 280 ci siamo dovuti fermare, erano tante le aziende coinvolte nel meccanismo”. Quale meccanismo? Un ispettore della Asl contattava i responsabili di aziende e cantieri, diceva loro: preferite un’ispezione oppure pagare? Preferite sborsare una mazzetta da 10mila euro o una multa da 500mila? Le aziende e i cantieri pagavano. Coinvolti nel meccanismo Rocco Bonassina ispettore, già finito in carcere quattro anni fa, l’architetto Felice Fabiano che sistemava le pratiche.

Tutti presunti ladri e truffatori fino a sentenza definitiva. In questo ambiente di lavoro l’ispettrice Eugenia Addorisio tenta di lavorare onestamente ma denuncia che il suo capo, appunto Antonio Fanelli, le ripeteva: “Sta ferma, tanto questi lavoratori lo sanno che devono morire, intervieni solo se c’è il morto”. Cinque anni fa la Addorisio pensa di aver fermato Fanelli e tutto il meccanismo, ha denunciato, la polizia è intervenuta, sui giornali la notizia: “Tangenti per evitare i controlli, tutto è partito dalla denuncia di un’ispettrice alla quale veniva impedito di svolgere il proprio compito. Coinvolto l’ufficio Asl che si occupa di sicurezza sul lavoro”. Cinque anni dopo la email della Addorisio a La Stampa, Fanelli è di nuovo il suo capo in ufficio e i superiori le hanno detto: “Dovete convivere civilmente…”.

I commenti sono chiusi.

Gestione cookie