ROMA – Il segretario del Pd ha chiamato i deputati e i senatori del Pd ad una riunione comune e immediata su Fisco, Rai, legge elettorale, riforma del Senato. Pare, secondo l’ex segretario del Pd, che non possa farlo. Bersani ha infatti ammonito Renzi, lo ha accusato di prevaricazione con la chiara, netta, e anche un po’ burocratica argomentazione, che i gruppi parlamentari li convocano i capigruppo parlamentari e non il segretario del partito.
Si è talmente tanto offeso e infuriato Bersani per questa di Renzi che lui ritiene invasione di campo da annunciare che lui alla riunione non va e con lui non andranno tutti i parlamentari della minoranza Pd. Quanti saranno si vedrà, di certo un bel gruppetto. Se gli assenti saranno trenta/quaranta sarà defezione preoccupante, fastidiosa ma relativamente trascurabile. Se saranno sessanta o più, allora sarà poco meno che un preavviso di sfratto a Renzi da Palazzo Chigi. Se trenta del Pd infatti non votano Italicum e riforma del Senato, Renzi “se ne farà una ragione”. Se a non votare saranno sessanta e più, Renzi ne farà una malattia e dovrà scegliere se riscrivere le due leggi sotto dettatura Bersani o compagni o se sfidarli a far davvero cadere il governo.
Così stanno le cose e lo ha detto lo stesso Bersani: “Se non cambia non voto le leggi di Renzi”. Ovviamente Civati, Fassina D’Attorre, Cuperlo…e altri e altri dietro Bersani. Ma possibile che una rottura, uno scontro, una disfida, una battaglia politica a limite della scissione avvenga sulla forma di una convocazione, possibile che Bersani e la minoranza Pd siano pronti a rovesciare il tavolo solo perché offesi niente meno, come ha detto l’oppositore D’Attorre, che dalla richiesta di Renzi di interventi “lampo” durante la riunione dei parlamentari?
Possibile che Bersani abbia dichiarato sdegnato “non faccio il figurante” perché Renzi aveva fatto sapere di “astenersi dal burocratese” e di preparare interventi di breve durata e conciso pensiero? La opposizione a Renzi dentro il Pd, la sinistra onusta di storia e valori combatte per il diritto a parlare lungo, per la nobiltà della perifrasi, per il concetto che se è veloce non è, per il pensiero lento altrimenti non è pensiero, per l’onore dell’intervento senza limiti di tempo, per la dignità infine del “burocratese”, un linguaggio che è anche un modo di essere? Possibile?
Sì, possibile. Succede anche questo. Ma non solo questo e questo non è la cosa fondamentale della battaglia, di questa battaglia di Bersani e compagni. Combattono fondamentalmente e decisamente insorgono per mantenere il controllo dei loro nominati. Dicesi nominati di tutti quei parlamentari eletti nella scorsa legislatura con il cosiddetto Porcellum, insomma con le liste fatte solo dai vertici dei partiti e senza concorso degli elettori né in forma di preferenze, né in forma di collegi elettorali. In questo Parlamento eletto nel 2013 Berlusconi si è nominato i suoi, Bersani i suoi, Grillo i suoi e così anche gli altri.
Bersani oggi combatte contro Renzi per il controllo dei “suoi” nominati. Sono “suoi” e non accetta, trova intollerabile che il capo del governo e segretario del Pd provi a convincere, arruolare, motivare, mobilitare i parlamentari del Pd, Per Bersani e per la minoranza nel Congresso Pd e nelle primarie per il segretario, questa azione, questo chiamare, questo convocare e soprattutto questo lavorare del segretario del Pd affinché i parlamentari del Pd non siano parte integrante e militante dell’opposizione al governo è “sfilare” i parlamentari dalla loro connotazione di origine. Che era quella appunto di “bersaniani” o comunque nominati dal vertice del partito. La minoranza Pd è furibonda: è minoranza quando si vota nel partito e nell’elettorato pd, ma è molto meno minoranza ovviamente tra i parlamentari scelti e nominati da Bersani quando era segretario. Insomma vivono uno “scippo”.
La circostanza curiosa, e anche un po’ disperante, è che la battaglia dei Bersani per mantenere il pieno controllo sui nominati è condotta in nome del “no ai nominati”. I nuovi “nominati” sono nell’interpretazione di Bersani e compagni i parlamentari che risulterebbero eletti con L’Italicum in quanto capilista. La minoranza, la sinistra Pd trova intollerabile offesa alla democrazia la possibilità che nel prossimo Parlamento i vertici dei partiti possano “nominare” in quanto capilista i discute se il 25 o il 30 o il 40 per cento dei deputati. A loro questo appare tale sfregio alla democrazia da preferire, anzi benedire il voto di preferenza. Ossia ciò che da sempre dal Pci fino al Pd la sinistra pensava fosse la schifezza della democrazia. Ma allora “nominava” Bersani, mica Renzi. C’è purtroppo qualcosa di meschino in questo rivoltare la frittata.
E c’è qualcosa di sostanza in questa battaglia dei Bersani. Renzi crede di aver capito cosa sia, pensa vogliano seggi e posti sicuri nelle prossime liste elettorali. Così i scrive sui giornali, ma se davvero Renzi pensa questo si sbaglia. I Bersani del Pd non vogliono posti e seggi, vogliono la “Ditta”, vogliono cacciare “l’usurpatore”. Se potessero ottenere l’obiettivo ci farebbero cadere anche un governo. Osservateli, ascoltateli: tutto ciò che fa Renzi, Jobs act, Italicum…non è solo sbagliato, è tutto e tutto quanto sempre “non costituzionale”. Tutta l’azione di governo presenta per la minoranza Pd (oltre che per chiunque non sia d’accordo) sempre e comunque “profili di incostituzionalità”. Certo, un vezzo linguistico tipico del burocratese, un vezzo in cui la forma è sostanza.
Come sostanza è la forma che Bersani in persona dà alla sua battaglia. Forma in cui l’orgoglio ferito è tenue patina che non assorbe il rancore. Forma in cui la brava persona pragmatica e con i piedi per terra ostenta terrigna e tetragona volontà di rivincita, rivalsa…vendetta. Questi Bersani pur di riprendersi la “Ditta” sono disposti a tutto e, quel che più conta, pensano di essere in missione per conto del popolo.
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