ROMA – C’è una cosa che mi sfugge nello scandalo del Vatileaks, quale sia il ruolo e l’interesse di Papa Francesco. Non riesco a togliermi dalla testa un dubbio: che dietro Vatileaks ci sia proprio lui, il Papa che è impegnato nella missione di ridare vita alla Chiesa cattolica romana. Forse non proprio lui ha architettato la catena di indiscrezioni che ha portato in pubbklico lo scandalo. Forse non c’è una mente, che sarebbe da definire diabolica se non fossimo in chiesa, che ha mandato allo sbaraglio Francesca Immacolata Chaouqui e mons. Lucio Angel Vallejo Balda per mettere in piazza le magagne di tanti sommi sacerdoti che sono anche i nemici di Papa Francesco. Ma allora è stato proprio lo Spirito Santo a guidarli, perché il risultato è dirompente.
Certo, di fronte alle indiscrezioni di Chaouqui e Vallejo Balda, Papa Francesco non sembra essersi scomposto più di tanto. Ha agitato un po’ il dito (“Il Santo Padre è amareggiato per il tradimento dei due collaboratori infedeli”), ma l’amarezza si stempera subito perché il Papa “non è affatto preoccupato per il contenuto dei documenti divulgati”, che sono
“frutto di un’approfondita indagine interna che lui stesso aveva promosso per procedere con le riforme”.
Quella di Papa Francesco è una lotta quasi solitaria con una gerontocrazia che tiene in mano la Chiesa da duemila anni, conoscono tutti i segreti del Vaticano, hanno passato e passano più tempo a ordire trame che a pregare. Per molti di loro ci sono cospicui interessi da difendere, ruberie da coprire.
Vatileaks ha portato in superficie un po’ di quella melma, a che scopo? Un risultato evidente è stato quello di screditare uomini forti di quella gerontocrazia al potere che Papa Francesco ha la missione di scardinare. La missione gli è stata affidata, per i credenti da Dio, attraverso lo strumento della Chiesa di fuori, quella alla frontiera della Fede, dove il senso religioso è più forte che nella decaduta Europa. Dietro Papa Franscesco ci sono i cattolici del Nord e Sud America, Africa, Asia. Vogliono pulizia, non vogliono perdere il confronto con le altre religioni cristiane più flessibili, meglio attrezzate dal punto di vista anche organizzativo alla sfida del mondo di oggi: povertà, diseguaglianze, disagio e odio sociale, diffusione delle idee contro cui l’Indice dei libri proibiti è inerte di fronte a internet.
Tre sono i passaggi chiave per far recuperare alla Chiesa cattolica il terreno perduto, rimetterla in sesto, senza toccare l’essenza della Religione ma solo scrostando dogmi inventati dagli uomini nei secoli.
1. Bisogna fare sposare i preti.
2. Bisogna aprire alle donne prete. La Chiesa non può restare incatenata agli schemi sociali dei tempi di Gesù, quando ancora lapidavano le adultere e una donna si pagava in pecore e cammelli. Gesù ha dato delle aperture alla donna, come le ha date l’Ispiratore della Genesi, subito sigillate da una casta maschilista di preti che ancor oggi tiene in pugno la Chiesa cattolica, il tutto aggravato dalla età avanzata che anestetizza i problemi.
La Chiesa cattolica è in forte declino in Europa ma anche, un po’ meno, in America Latina per mancanza di “manodopera”, cioè di preti. Fare il prete non attrae più quel mondo di mezzo che, pur senza una grande vocazione, sceglieva quella strada come alternativa a una vita di ancor maggiori privazioni.
3. Per non allontanare i fedeli bisogna anche ammettere i divorziati alla Comunione e alle altre attività (padrino e madrina) che oggi li escludono. Il divorzio è figlio della diffusione del benessere, difficilmente il mondo arretrerà in nome della Fede, potrà farlo per autodistruzione ma augurarsi questo per fermare il divorzio non porta bene a nessuno. Anche le migliori famiglie cattoliche annoverano nelle generazioni post ’45 numerosi divorziati o separati.
Chi si oppone al rinnovamento sono in larga parte anche coloro che più hanno da temere da una apertura della Chiesa alle nuove idee e anche alle nuove forze che spingono dai quattro angoli del mondo.
Dietro l’azione di Papa Francesco si nota un senso di urgenza, come se 500 anni dopo si avvertisse un clima simile a quello che portò allo scisma protestante. Anche allora c’era bisogno di rinnovamento, di pulizia. Che differenza fa tra speculare sui nuovi santi e farsi pagare le indulgenze?
Questo senso di urgenza spesso spinge Papa Francesco a esternazioni demagogiche che farebbe meglio a riparmiarsi, molte mirate a un consenso immediato nel limitato territorio in Italia, come se gli importasse di più il consenso di Repubblica che gli effetti a lungo termine delle sue parole, che possono essere devastanti. La posizione sul lavoro domenicale è talmente arcaica da sembrare incompatibile con un Papa così innovativo. Può essere tattica, può essere come scrisse Cesare Pascarella che i preti sono comunque e sempre “nemici della patria e del progresso”. In questo i gesuiti hanno una storia.
Non possiamo però dimenticare un altro fatto, che spesso sfugge agli entusiasti di Papa Francesco, che un grande Papa per la Chiesa può essere un pessimo Papa per l’Italia. Con Gregorio VII, mille anni fa, cominciò l’Italia di oggi, “serva…bordello“, “senza nocchiero” nella tempesta, divisa e piagata a morte. Salvò la Chiesa, condannò l’Italia.