ROMA – Quanto vale l’Alfa Romeo? Lo sapremo presto perché Ferdinand Piech, presidente della Volkswagen, è deciso a scoprirlo. Sergio Marchionne, conscio del’interesse del primo costruttore europeo, ne aprofitta per alzare la posta. Ma qual è la posta? Certo, la marca del biscione ha alle sue spalle una storia di ineguagliabile prestigio ma di fronte a sé solo un futuro ricco di incognite.
Con un solo modello in listino, la Giulietta, perché la Mito sembra aver esaurito anzitempo il suo ciclo di vita commerciale, con quote di mercato ormai marginali sul mercato continentale, al di sotto dello 0.8%, priva di uno stabilimente dedicato, l’Alfa Romeo sembra impossibilitata ad uscire da una nicchia nella quale la relega una rete di vendita asfittica e delusa. Peccato perché la Giulietta, per design e contenuti tecnici, avrebbe avuto tutte le carte in regola per confrontarsi con la Wokswagen Golf, incontrastata dominatrice da decenni nel settore delle medie cilindrate. E non basta il comunicato della Fiat che annuncia il superamento dell’italiana sulla tedesca nei mesi scorsi.
Il dato, infatti, si riferisce al solo mercato italiano. In Europa nei primi tre mesi dell’anno le 17.000 Giulietta fanno fatica a confrotntarsi con le 121.000 Golf vendute. Ma allora perché tanto interesse da parte di Piech? Non basta a giustificarlo l’atteggiamento imperialista del manager e neppure la passione per la tecnica e per i miti coltivati in gioventù che lo hanno portato all’acquisto della Ducati e prima ancora della Lamborghini e della Bugatti come risarcimento della impossibilità di accedere alla Ferrari. In quel caso c’erano marchi prestigiosi ma anche realtà industriali ben radicate sul territorio. Ducati, Lamborghini e Bugatti avevano quel controvalore aggiunto rappresentato dalla tradizione consolidata di una regione che ha fatto della meccanica una ragione di vita. Al contrario l’Alfa Romeo è stata ormai del tutto sradicata dalla sua storia.
Il Portello, Arese, Pomigliano sono altrettante tappe verso la totale perdita di identità. L’ultima occasione poteva essere rappresentata dallo stabilimento di Pomigliano. Prima negletto da Marchionne che vedeva nello stabilimento campano l’origine di tutti i mali della marca e poi, dallo stesso Marchionne, sottoposto ad una vera e propria rifondazione destinata a farne lo stabilimento modello del gruppo. Molti soldi spesi male perché il vero problema era in realtà la scarsa competività del modello prodotto, la “159”. Il cui insuccesso ha decretato la definitiva separazione dell’Alfa Romeo da Pomigliano. Ridefinito a caro prezzo, ancora una volta, per occuparsi della nuova Panda. Che, sia detto per inciso, è ben lontana da raggiungere gli obiettivi commerciali previsti.
E allora quanto vale una Alfa Romeo apolide? Molto per l’acquisto da parte della Volkswagen va ben al di là dell’interesse per un modello o una marca. In realtà la cessione dell’Alfa Romeo è la firma su un accordo per il quale la Fiat cede defintivamente il passo sul mercato europeo. Una strategia che Marchionne prepara attraverso tutta una serie di dichiarazioni circa la sovracapacità produttiva anche se, unico tra i grandi costruttori, è l’unico ad aver aperto un nuovo stabilimento in Serbia. Bene, a quella sovracapacià produttiva sarà proprio la Fiat a sue spese o meglio a spese degli stabilimenti italiani a porre fine.
Abdicare all’Alfa Romeo vuol dire abdicare al mercato europeo perché non saranno certo Lancia, Fiat o i derivati locali della Chrysler le armi per invertire una tendenza al ribasso delle quote ormai fin troppo evidente. Non per nulla, pur nel suo isolamento la Giulietta ha sfruttato in pieno la spinta del marchio facendo dimenticare il fallimento della Lancia Delta e l’inefficacia della Fiat Bravo. L’Alfa Romeo vale tanto quanto vuole Marchionne. L’Alfa Romeo vale un assegno in bianco per un Piech ormai covinto della necessità di fare breccia anche nel settore delle piccole utilitarie con la Up declinata in chiave Wolkswagen, Skoda e Seat (ma arriverà preso anche Audi). E la culla delle piccole è certamente l’Italia e la campagna d’Italia vale allora quell’assegno in bianco che Piech contuna a sventolare e che Marchionne aspetta per completare un disegno, l’acquisto delle azioni Chrysler ancora nelle mani del sindacato, al cui centro c’è la Fiat made in Usa.