ROMA – Mali: la guerra ritorna, tutti tacciono. Contro l’Onu, per l’uranio di Hollande. La buona vecchia guerra, quella che ci illudevamo di avere se non eliminato almeno esorcizzato dandole altri nomi (intervento umanitario, assistenza militare, polizia internazionale) si ripresenta, senza maschere, nel paese più povero del mondo: il Mali. Già parte dell’impero coloniale francese (col nome di Sudan Francese) il Mali è diventato indipendente nel 1960, dopo essersi separato dal Senegal. Ora fronteggia una nuova separazione: quella dell’Azawad, regione che comprende la parte Sub-Sahariana , in prevalenza abitata – per così dire – dal popolo nomade dei Tuareg , oggi sotto il controllo militare dei fondamentalisti islamici, di cui alcune frazioni aderenti ad Al-Qa’ida.
Il Mali è dilaniato tra questa scissione (che sottrae al paese la maggiore ricchezza potenziale , quella mineraria, in termini di gas, petrolio, uranio) e la sostanziale dissoluzione dello Stato in seguito a una serie di ammutinamenti dell’esercito, inetto a fronteggiare la rivolta salafita ma efficientissimo nel determinare l’instabilità permanente delle istituzioni centrali. In questa situazione, il 10 gennaio 2013 , il presidente Diacound Traorè ha chiesto – e prontamente ottenuto – un intervento militare della Francia, in accordo con ECOWAS, la comunità economica dei paesi dell’Africa occidentale, contro i ribelli jihadisti che ormai stabilmente occupano il nord, sino ai confini con l’Algeria.
Su questo ordigno micidiale puntato contro l’Europa si è avventurata baldanzosa l’Armeè francese del già traballante François Hollande. Se la scelta di intervenire militarmente non può dirsi priva di buone ragioni (prevalentemente francesi: l’uranio del Mali serve gran parte delle centrali nucleari d’Oltralpe ), non ci si deve nascondere che altrettante ragioni, decisamente non condivisibili, rendono quella stessa scelta improvvida e rispondente a una non sopita logica coloniale.
Le opinioni al riguardo si sono subito divise. Se da un lato la comunità internazionale sembra essere stata facilmente convinta della necessità dell’intervento militare contro la minaccia terroristica di Al-Qa’ida, dall’altro lato sono stati numerosi i commentatori che hanno messo in riilevo le prospettive, per niente teoriche – specie per l’Europa mediterranea – di trasformare il poverissimo Mali in un nuovo, o nell’ennesimo Afghanistan. Alcuni aspetti della questione meritano di essere messi in rilievo.
La “copertura” ONU dell’intervento non è affatto assicurata dalla Risoluzione 2085 del 20 dicembre 2012 del Consiglio di Sicurezza, che si limitata (in termini non si sa se più prudenti o confusi, ma chiarissimi sul punto) a prevedere una “presenza multidisciplinare”, che significa anche ma non solo militare, per garantire il ritorno del paese alla normalità politica e istituzionale. Questo compito era stato affidato dal Consiglio di Sicurezza, per la parte militare, a una Missione di Sostegno nel Mali a Guida Africana (AFISMA), affiancata, solo per quanto riguarda la necessità di ridare efficienza e capacità operativa all’Esercito regolare del Mali, da opportuni contributi da parte degli Stati Membri e in particolare dell’Unione Europea.
La Risoluzione ringrazia in questo senso l’Unione Europea per avere accettato di inviare su quel “teatro” una propria “missione militare per fornire addestramento militare e assistenza alle Forze di Sicurezza e Difesa del Mali”. Un tentativo di pacificazione del Paese attraverso il recupero di tutte le forze “ribelli” e autonomiste del Nord (Azawad) che avessero tagliato ogni rapporto e collusione con i terroristi di Al- Qa’ida e associati.
L’iniziativa francese – ancorché innescata dalla richiesta di una presidenza instabile e screditata – non risponde a nessuna di queste premesse. Non è rispettosa della Risoluzione 2085, che prevede un intervento “multidisciplinare” e, quindi, non esclusivamente militare quale è stato quello francese. Non lo è della scelta, opportunamente operata dal Consiglio di Sicurezza, di affidare la guida della “Missione militare di sostegno” ai paesi africani dell’ECOWAS (Comunità Economica dei Paesi dell’Africa occidentale), individuati come i partner naturali della comunità internazionale e di quella Europea in special modo.
I commenti sono chiusi.