La cosiddetta ‘scissione’ del PDL , consumatasi l’altro giorno al Palazzo dei Congressi, è stata salutata come una novità di grandissimo rilievo ‘nel panorama della politica non solo italiana ama anche europea’ (Eugenio Scalfari, su ‘Repubblica’). Questa valutazione ottimistica si presta tuttavia ad alcune perplessità.
La ‘scissione’ del PDL presenta infatti due caratteristiche opposte e apparentemente inconciliabili: essa è una spaccatura , un trauma teoricamente destinato a indebolire la destra berlusconiana, ma, al tempo stesso, una nuova alleanza, cioè una prospettiva di rafforzamento di quella stessa destra, braccata da vicino da una variegata quanto rissosa compagnia di inseguitori .
La maggior parte dei commentatori ha letto l’evento come il segno del declino irreversibile di Berlusconi, non più in grado di sostenere l’assalto degli anni e degli avversari con la sola forza del suo carisma, così paradossale (apparire sempre più debole, assediato, vittima di un complotto, e per questo sempre più degno di incondizionata devozione). E’, se si vuole, l’esatto contrario del paradosso che caratterizza l’armata di quanti lo incalzano senza successo da due decenni: quanto più essa si proclama sul punto di vincere, tanto più mette a nudo le proprie divisioni e debolezze interne.
Ammaestrati dal paradosso berlusconiano , suggeriamo sommessamente una lettura diversa dell’accaduto, immaginando che la scissione del PDL risponda a una (forse sin troppo sofisticata) strategia.
Immaginiamo che al Palazzo dei Congressi la destra non si sia divisa, ma si sia semplicemente sdoppiata in funzione di due ruoli complementari.
Obiettivo comune e primario era quello di uscire dall’impasse potenzialmente rovinosa in cui il PDL e Berlusconi si erano trovati di fronte all’alternativa tra sostenere il Governo Letta o farlo cadere.
Per uscire indenni dalla contraddizione ìnsita nel sostenere un Governo (logicamente, facendone parte) e contemporaneamente votarne la caduta (illogicamente, per la stessa ragione) , invece di scegliere tra le due opzioni, Berlusconi ha genialmente preferito lasciare che il soggetto politico a lui facente capo si sdoppiasse (grazie anche a ragioni ‘caratteriali‘) in due soggetti, egualmente a lui fedeli ma destinati a due ‘missioni’ diverse.
Mentre Forza Italia continuerà con i ‘falchi’ nell’opposizione dura e pura al Governo Letta e alla ‘politica’ – se così si può dire – della larghe intese, il Nuovo Centro Destra, con le ‘Colombe’, perseguirà gli stessi obiettivi, ma facendolo, più mitemente, dall’interno della precaria coalizione voluta dal Presidente Napolitano e così ben presidiata dalla pattuglia dei ministri già del PDL.
Non è un caso che, da subito, Berlusconi si sia affrettato a preconizzare ‘future intese’ con il ‘traditore’ Angelino Alfano, aggiungendo che
“…PDL è un nome che potrà essere usato per la coalizione FI-Nuovo Centro Destra’.
Un dividersi, dunque, per subito ricomporsi. Un colorito ‘fare ammuina’, ben diverso di quella ‘novità di grandissimo rilievo , non solo italiana ma anche europea’, di cui si è letto. I compiti sono stati assegnati. Il vocabolario degli insulti messo a punto.
La nuova sceneggiata attende solo la musica di Mariano Apicella e le parole di Silvio Berlusconi.
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