ROMA – Una gigantesca cataratta, fatta soprattutto di televisioni. Un’enorme e occlusiva cataratta che rende opaca la visione la vista. Una cataratta dell’organo visivo che piano piano diventa cataratta dell’anima o viceversa cominciò prima dall’anima e poi si fece velo agli occhi. Una cataratta cui il cervello si adegua, che il cervello compensa creando logiche architetture di quello che non c’è. Senza questa cataratta che ci obbligava a vedere come ferrigno, feroce, tremendo, superbo il giorno in cui Silvio Berlusconi fu espulso dal Senato per indegnità acclarata a norma di legge, avremmo meglio potuto vedere che è stato un giorno tristo e triste. Il giorno della caduta senza botto, senza botto perché nulla risuona in un paese sotto vuoto.
Un guaito, niente più di un guaito veniva da via del Plebiscito, ormai casa e bottega di Berlusconi. Mille e poco più di mille sotto i suoi balconi, una pena questo appuntamento poco più che privato travestito da mobilitazione di massa. E i più tra quei mille, poco più di mille, intenti alla foto-opportunità con Brunetta o Santanché o Pascale Francesca o magari, magari soltanto, con Berlusconi stesso, magari da lontano. E va bene anche una guardia del corpo, va benissimo perfino Dudù promosso a incunabolo, non più neanche mascotte, della forza del salvatore. Dicono, inalberano che è “Colpo di Stato”, che Berlusconi è come Moro in mano alle Brigate Rosse, che è “lutto per la democrazia”. Ed emettono, producono il guaito e il pigolio di una comunità in gita. Enorme è la loro denuncia, miserrima è la loro consapevolezza di ciò che dicono, infinitesimale è la loro volontà di far sul serio. Si divertono un sacco a mimare la rivolta. E’ un gioco di mimi, come quando si indovina il titolo del film a casa. E mimi di pessima qualità perché son solo linguacce e boccacce.
Chi doveva, chi proclama di insorgere contro la peggiore e più grande delle ingiustizie e il massimo sopruso possibile è alla prova dei fatti un esiguo fritto misto di scombinati civici. Un pigolio, un guaito, altro che il tuono, la risacca della rivolta e della ribellione indignata. Un suono flebile su un tristo tono. Tristo, cioè infimo.
Un latrato, niente più che un latrato affannato viene da chi doveva festeggiare la caduta del tiranno. In realtà non festeggia nessuno, tranne due o tre invaghiti di se stessi che da tempo vanno in giro chiamandosi “popolo viola” o di altro colore e nessuno che si prende cura di questi sventurati e dei loro caratteriali e caratteristici reiterati comportamenti. La festa per la caduta del tiranno c’è stata, due anni, a novembre 2011. Quella sera ad attendere davanti al Quirinale, Berlusconi che si dimetteva, i cortei per le strade, i sorrisi nelle case. Quella sera fu la sera della “liberazione”.
Poi chi allora festeggiò ha avuto due anni, tempo e modo per vedere e sapere che l’Italia storta era ed è perfetta per Berlusconi proprio perché storta oltre ogni dire. Ma che storta l’Italia non l’ha fatta Berlusconi. Storta era prima di lui e storta rimane senza di lui. Storta anche per responsabilità di chi festeggiava quella sera. I festanti di allora non hanno retto e non reggono a questa realtà. Quindi nel giono della decadenza di Berlusconi non fanno festa. Per saggio e corretto pudore. E anche perché avvertono come sia un giorno triste. Triste, perché sanno che il paese continuerà ad essere storto anche senza il grande distorsore.
Altrove un compulsivo abbaiare, iroso quanto quello di chi non ha altro linguaggio né altra lingua. L’abbaiare indistinto, monotono, inutile e rauco di chi vuole “tutti col culo per terra”.
E’ un canaio in cui riconosci il guaito dei berlusconiani, il latrato del Pd, all’abbaio a Cinque Stelle. E delle rispettive aree di opinione. Comunque bocche che si aprono e suoni che arrivano lenti e distorti. Non è colpo di Stato, è solo legge. Non è liberazione e festa, è solo un alibi alle proprio responsabilità che se ne va. Non è un nemico dei cittadini abbattuto, è solo uno che dice le stesse cose impossibili e storte dei “cittadini” su tasse, euro, Europa, immigrati. E’ un canaio in perenne agitazione da formicaio. Ma quasi non si sente nulla, non un vero rumore, non un clangore, non un clamore. Solo echi che muovo al rallentatore. Crollo senza botto perché nulla fa più botto, può più fare botto in un paese tutto intero sotto la campana che lo isola dalla realtà, un’Italia sotto vuoto spinto che sta dove è stato aspirato l’ossigeno di ogni civica e civile responsabilità.