ROMA – Non funziona, non va, non ingrana: il mix” riformo tutto magari di corsa ma solo un poco”, insomma il “renzismo reale” non scuote l’Italia dalla sua accidiosa senescenza. Leggere addirittura tutto questo da un meno 0,2 per cento del Pil neanche fossero i fondi del caffè? No, non è giocare agli aruspici. Al contrario è come fare un’analisi di laboratorio ai sedimenti. L’andamento del Pil è solo la polvere sul terreno, ma in quella polvere si depositano e leggono tutti gli inquinanti dell’ambiente e tutta la sterilità sopravvenuta del suolo. Il Pil anoressico di mezzo anno 2014 dice, ribadisce che “senza denari non si cantan Messe” e inchioda Matteo Renzi all’altrettanto classico “le chiacchiere stanno a zero”.
Quel Pil così esangue dopo un Renzi così grondante vittorie e consenso dice che l’Italia non si aggiusta, si smonta. E si rimonta da capo. Oppure te la tieni com’è: la più scassata e storta macchina sociale, istituzionale ed economica dei paesi ad economia sviluppata. Quella che andava peggio degli altri prima delle crisi iniziata in Usa nel 2007, peggio degli altri ha subito la crisi, peggio degli altri sta facendo nei postumi della crisi. Un paese a bassa produttività (il lavoro produce in proporzione poca ricchezza), praticamente zero giustizia civile, imprenditoria nana e compiaciuta di esserlo, alta sindacalizzazione in gran parte mutata in corporativismo, altissima evasione fiscale e altissima corruzione, elevatissimo debito pubblico, bassissima occupazione per i giovani, basso tasso di occupazione sopra i 60 anni, un paese ipertrofico di pensionati, obeso di burocrazia, drogato di spesa pubblica (50 e passa per cento del Pil) con tutta o quasi la classe dirigente, politica e non, e tutta o quasi la pubblica opinione tossicodipendente in astinenza da pubblico denaro al punto da invocarne nuova assunzione e poi ancora e ancora e ancora…E, da bravo tossico, un paese che se ne sbatte del come a che danno e a che prezzo procurarsi la nuova dose di pubblica spesa.
Ecco, un paese così non lo aggiusti, neanche se rottami il vecchio ceto politico, neanche se parli chiaro e simpatico, neanche se graffi in superficie qualche corporazione, neanche se prendi il 40 e passa per cento alle elezioni e ti chiami Matteo Renzi. O lo smonti un paese così, e devi averne la forza e il coraggio, o un paese così ti si mangia e risucchia, prima ti sgonfia e poi ti risputa dopo averti digerito. Renzi ci ha provato finora ad aggiustare, anche d’impeto, anche indicando con il dito giusto il pezzo sbagliato. Ma a smontare davvero qualcosa non ce l’ha mai fatta e a ben guardare non ci ha nemmeno davvero provato. E non ha fatto entrambe le cose perché anche lui, anche se meno di tanti, è “italiano” al midollo: Dna sociale culturale comanda almeno da un secolo ad ogni italiano di Palazzo e di strada di non smontare mai, al contrario aggiungere, aggiustare, includere, sovrapporre…
Così l’Italia 2014, quella del Pil in animazione sospesa, è un manufatto argilloso con l’argilla plasmabile venuta da tre cantieri, da tre cave. Prima: l’Italia corporativa ed autarchica del fascismo. C’è ancora: nelle ottomila aziende partecipate dalla mano pubblica, negli Ordini Professionali nemici della concorrenza, nell’alleanza Chiesa/sindacati per imporre la chiusura dei negozi nei giorni festivi, nell’isolazionismo economico insito nell’idea della decrescita felice, nella stella polare sindacale di uno Stato e governi che fabbrichino stipendi appena vestendoli da posti di lavoro.
Seconda cava: quella del capitalismo senza capitale. Soprattutto senza capitale di rischio. Una legislazione del lavoro e fiscale che premia il nanismo produttivo, un’imprenditoria che si finanzia soprattutto se non solo dalle banche, una impunità e invulnerabilità di portafoglio e di status agli errori e fallimenti dei ceti alti della società. E infine la terza cava: una sorta di socialismo reale in un paese capitalista: la maggior quota di Pil di spesa pubblica unita al maggior costo dei servizi sociali e di Welfare. Quest’argilla a tre strati non la squagli, non ce la fai. O la picconi o niente. Questo dice, buon ultimo dopo mille e mille parole, fatti e numeri, quello 0,2 % in meno di Pil. Ma quel che davvero dice, Renzi sembra non capirlo, non aver capito. Predica calma e andare avanti. Non serviranno a nulla la calma e la determinazione ma Renzi non sembra intendere la lezione. La mazzata Pil non l’ha intontito ma si guarda il livido grande e blu sulla pelle come chi non ha capito che l’emorragia è dei vasi sanguigni interni, non viene da fuori.
Un passo indietro: questo è un paese pessimo che si compiace del suo basso livello. Osanna a Renzi a maggio/giugno, crucifige Renzi a luglio/agosto. Un crucifige isterico e grottesco. Argomenti fatti di nulla: l’inutilità degli 80 euro di tasse in meno al mese (provare a toglierli di nuovo e vedete l’effetto che fa). Argomenti fatti di bile e di balle. Gli argomenti consoni allo spessore civile prima ancora che politico o tecnico dei vari Renato Brunetta, Loredana De Petris, Matteo Salvini. Argomenti e umori a misura di una pubblica opinione che si misura nel parlato sui blog. Se questa è la politica e questa è la pubblica opinione, allora non lo smonti nemmeno un paese così: se sei i Vigili del Fuoco fai la fine di quelli sotto le Torri Gemelle.
Questo è un paese pessimo di umori e tremori. In più in Parlamento chi volesse smontare il sistema Italia sarebbe in netta minoranza. Ammesso e non concesso che Renzi lo voglia, contro avrebbe gran parte dei deputati e senatori del Pd, poi quelli di Sel, M5S, Lega Nord, Ncd, Forza Italia…In più smontare fa male, qualcuno ci guadagna ma qualcuno ci rimette eccome e questo è violare la prima legge della politica italiana, come Asimov vieta ai robot di far male agli umani, così la politica italiana nega a se stessa la possibilità di perdere un voto di favore sociale oggi, magari per riguadagnarlo domani come voto di civile consenso.
In più Renzi e i suoi stanno facendo casino e ammuina, sembrano confusi dalla gran confusione da loro stessi alimentata in funzione di “animazione” del paese. Se Renzi capisse la mazzata del Pil, se Renzi capisse…Avrebbe pochissime cose da fare, qui, ora e subito. Serve che chi lavora guadagni di più e che chi dà lavoro abbia maggio profitto. Quindi meno tasse su impresa e salario, meno tasse nell’ordine, subito, di qualche decina di miliardi. Decine di miliardi da togliere subito dalla disponibilità di spesa, clientelare e inefficiente, dello Stato centrale e soprattutto dei governi locali. Stato e soprattutto Regioni innaffiano la collettività di decine e decine e decine di miliardi di spese per servizi sociali gestiti in sovra costo e per finanziare favori al “territorio sociale” ritenuto amico. Tolga il governo Stato e Regioni questa prerogativa, non tagli di spesa ma inibizione a una certa tipologia di spesa. “Affamare la bestia” come diceva Ronald Reagan.
E peccato se a dirlo era Reagan. Perché qui e oggi in Italia è giusto “affamare la Bestia”, togliere potere di spesa alla mano pubblica. Altrove e in altro tempi no, può essere ed è ingiusto e sbagliato. Qui invece è l’unica, drammatica e quasi disperata terapia. Con tutto il rispetto per gli economisti d’esperienza anglosassone, Paul Krugman in testa, qui e oggi in Italia la spesa pubblica come volano di ripresa economica non funziona. Negli Usa magari dove, semplificando un po’, una ferrovia te la costruiscono in tempi umani, senza pagare dazio ai Comuni che attraversi, alle Diocesi, alle Camere del Lavoro che incroci, al boss politico locale e, quando va male, anche a boss d’altro tipo. Dove il costo dell’opera non decuplica negli anni, anni che scorrono senza che la ferrovia sia finita. Corrono invece i soldi pubblici a finanziarla, la ferrovia o la formazione professionale o la comunità o quel che sia…corrono a pagare stipendi e anche mazzette. Qui altra spesa pubblica non fa posti di lavoro che danno reddito e ricchezza, fa posti di lavoro da mantenere con le tasse.
E alla Pubblica Amministrazione Renzi provi ad impedire per decreto di avvelenare il lavoro altrui. Un decreto “fatti da parte” alla Pubblica Amministrazione. Meno controlli, meno visti e carte. Tanto quelli che ci sono non fermano né l’evasione fiscale né l’evasione da ogni legge e regola. Metta Renza la Pubblica Amministrazione il più possibile in aspettativa. Chiuda d’imperio i Tar. E con altro decreto stabilisca che chi d’ora in poi viene assunto può a certe condizioni economiche essere licenziato e che ci sia un solo contratto di lavoro possibile al posto delle cento bizantine precarietà.
Tre decreti che se Renzi li stendesse e firmasse e presentasse in parlamento probabilmente lo stenderebbero al suolo. Avrebbe contro la maggioranza del Parlamento, i sindacati, la maggioranza dei partiti, la totalità delle clientele, le diecimila tribù degli assistiti. Ma almeno avrebbe reso un grande servizio al paese, avrebbe gridato e mostrato la verità, reso più difficile lo sport nazionale: fare i sordi perché non si vuol sentire. Almeno avrebbe mostrato al paese tutto quel generale processo degenerativo di cui citiamo un solo esempio: dalla Cgil di Di Vittorio e Lama e Trentin che era la Confederazione “moderata”, quella che si faceva carico dell’interesse generale, alla Cgil della Camusso che regolarmente trovi al fianco delle peggiori e più esasperate cause: i primi violini all’Opera di Roma o i “disperdi valigie” Alitalia.
Anzi no, mica solo la Cgil: al fianco di ogni causa storta c’è M5S: la giunta Livorno pro Stamina, il Movimento in Piemonte per l’autonomia della Val Susa…M5S: la grande e affascinante idea di togliere dalle mani “loro” i soldi pubblici per distribuirceli “noi” da soli e senza intermediari…Pil, la mazzata che Renzi subisce non capisce e che l’Italia neanche si sogna di capire.
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