ROMA – Al presidente della Regione 7.400 euro netti al mese, comprese tutte le indennità. E’ la metà di quanto un “governatore” si mette in tasca oggi. Al consigliere regionale seimila netti al mese, anche qui tutto compreso. E anche qui siamo alla metà di quanto guadagnano oggi. E dai centomila euro a consigliere per “i rapporti con l’elettore”, era questa la “misura Fiorito”, si scende a 5mila euro a consigliere di rimborso spese. E’ il faticoso accordo raggiunto dalle Regioni sui loro stessi stipendi, accordo che prevede di dimezzarli e di abbattere del 95% il pronto cassa ai gruppi consiliari. Eppure questa notizia fa un baffo alla pubblica opinione, come non esistesse. Bene, anzi male: stavolta è la pubblica opinione ad avere ragione.
Perché lo stipendio dimezzato al governatore e al consigliere e il pronto cassa abbattuto viene dalle Regioni “previsto”, letteralmente visto primo che accada. Qui e oggi infatti non si vede. L’intero sistema della rappresentanza politica non riesce e non vuol capire che tagliare i compensi di parlamentari nazionali ed eletti nelle assemblee regionali e comunali, porre fine ai vitalizi, cioè alla doppia pensione per chi ce l’ha fatta ad essere eletto da qualche parte, limare o addirittura cancellare i benefits finora attaccati come ostriche al ruolo di “politico” a nulla serve e nessuno convince se tutto ciò riguarda sempre gli altri e mai quelli che qui e oggi ci sono.
L’intero sistema della rappresentanza politica non ce la fa e non ce la vuol fare a capire quel che l’opinione pubblica vuole, anzi esige. E quella che è diventata, piaccia o no, la precondizione per una credibilità elettorale: applicare, qui e ora, gli stipendi tagliati a se stessi. Se stessi con nome e cognome, in carne e ossa. Il parlamentare o il consigliere che voglia presentarsi tra qualche mese in campagna elettorale ha bisogno di un “passaporto” e quel passaporto dovrebbe essere la sua busta paga di ottobre dove c’è scritto, netto in busta alla fine: 12mila euro, unita alla busta paga di dicembre dove si legge netto in busta alla fine: 6mila euro.
Non servirà a nulla far sapere alla gente che deve votare che i prossimi parlamentari, i prossimi consiglieri…Anzi, comunicare così serve a far aumentare il rancore e la diffidenza. Serve a confermare che l’intero sistema della rappresentanza politica esenta il se stesso in carne e ossa, qui e ora con nome e cognome dalla condizione generale di chi i tagli di reddito li subisce appunto qui e ora e non…”dalla prossima legislatura o consiliatura”.
E’ semplice, molto semplice ma non ce la fanno. Pochi, quasi nessuno, almeno intuisce. Matteo Renzi andava dicendo: “Se il Pd porta in Parlamento il dimezzamento dei parlamentari e il dimezzamento immediato dei loro stipendi, Grillo si sgonfia in pochi giorni”. Adesso va dicendo: “Se il Pd avesse portato…Grillo si sarebbe sgonfiato”. Si può aggiungere: se il Pd dei Montino Esterino alla Regione Lazio non si fosse riparato dietro l’argomento “noi con quei soldi solo politica e non Suv” e avesse denunciato e rifiutato l’alluvione di soldi ai gruppi consiliari…Se… ma probabilmente non è neanche così netta la causa-effetto: il fenomeno Grillo è anche altro dalla rabbia, rancore e diffidenza verso i politici.
Anche altro ma soprattutto quello e quindi se il Pd, ma anche l’Udc, ma anche la Lega, ma anche l’Idv…sul personale politico del Pdl non era il caso di nutrire attese al riguardo. Eppure nessuno lo ha fatto, nessuno ha tagliato, dimezzato e quindi poi esibito la sua busta paga tagliata, dimezzata. Non è con lo sventolio di quel taglio che si risana o governa un paese che soffre di mali perfino più gravi di una politica arraffona. Ma è con quello sventolio di busta paga dimezzata che poteva e doveva cominciare un’opera minima di disintossicazione. Non l’hanno fatto e non sembra siano in grado di farlo. Di questa conclamata incapacità ne avranno e ne avremo tutti danno. Ciechi di fronte all’evidenza e sordi nel pieno del clamore, nulla scuote praticamente l’intero sistema della rappresentanza politica, non l’astensione dal voto di più della metà dei siciliani, non il 18 per cento lì raccolto da 5Stelle. Bersani parla di “vittoria storica” dopo aver lasciato per strada 250mila voti, Alfano di “risultato straordinariamente positivo” dopo aver smarrito 650mila voti.
Invece quelli di 5stelle l’hanno capita eccome la necessità di quel “passaporto” con cui si accede al dialogo con l’opinione pubblica. Infatti annunciano e giurano che i 15 eletti alla Regione Sicilia intascheranno 2.500 euro al mese e lasceranno i restanti più o meno 10mila. E’ un bel passaporto, ma non funziona. Anche con le migliori intenzioni: ciascuno di loro sarà chiamato a pagare tasse su un reddito pieno, di 12/13 mila euro netti al mese. Pagheranno quindi di tasse più di quanto incassano? Non si può chiedere loro di ridursi in miseria. E i contributi versati sulla retribuzione piena? E anche quando funzionasse l’auto taglio dei quindici, insomma la via “alla grillina” al meno soldi ai politici, l’obiettivo del meno soldi ai politici non sarebbe raggiunto.
Perché quell’obiettivo è sì contabile e di cassa, però anche a dimezzarli tutti gli stipendi dei politici forse si porterebbe a casa una cifra che non è che ci abbassi l’Irpef o togli l’Imu. Facciamo a occhio, molto a occhio, 500 milioni di risparmio? L’obiettivo oltre che contabile e di cassa è soprattutto sociale, diremmo di salute pubblica. Dimezzarli tutti e subito i soldi ai politici ristabilirebbe l’accesso, la circolazione, riaprirebbe una frontiera oggi chiusa: quella tra il sistema della rappresentanza e l’opinione pubblica che stenta a farsi elettorato. Non c’è prezzo sul mercato che risulti eccessivo per questa riapertura. Non capirlo è non saper farsi nemmeno i propri conti. Oltre che cieco di fronte all’evidenza e sordo nel pieno del clamore il sistema della rappresentanza è ottuso e lento nel ragionamento. Con due, per altri versi limitate, eccezioni: Beppe Grillo e Matteo Renzi.
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