ROMA – L’ultimo week-end di Berlusconi, senza grandi lacrime, senza grande risa: più che un crollo fragoroso uno svanire evaporato. Questo fine settimana Silvio Berlusconi premier si dimette. L’unica vera emozione è un’epidermica, superficiale ma residua e persistente aura di diffidenza. Aleggia un venticello tenue di “Davvero, sicuri?”. Sì, davvero, è sicuro.
Anche se in questo strano paese il Capo dello Stato ha dovuto metterlo per iscritto due volte che Berlusconi si dimette, scanso equivoci. Questo fine settimana in cui finisce il governo Berlusconi nessuno se l’aspettava così. Chi aveva creduto in lui si aspettava eroiche e testarde resistenze e barricate.
Ma in realtà anche chi prova dispiacere per Berlusconi premier che se ne va non mette il lutto. Non si hanno notizie di manifestazioni di disperato cordoglio, né privato né pubblico. Non è aria. E chi attendeva niente meno “il giorno della liberazione”, se scendesse in piazza a festeggiare farebbe la figura di chi stappa lo champagne per un compleanno durante una scossa di terremoto. Per chi l’aspettava, una festa rovinata. Per chi lo temeva, un dolore con anestetico incorporato. La realtà delle cose ha tradito ogni auspicio, speranza, scongiuro, immaginazione. La realtà di un potere che non crolla ma si squaglia.
La ragione del niente festa e niente lacrime per Berlusconi che se ne va è negli ultimi cinque mesi di Berlusconi premier, quelli da luglio a novembre 2011. Si riassumono in due frasi del premier. Ad inizio estate: “Arriveranno tre sole nuove aliquote Irpef e saranno più basse di quelle che sono”. Il 3 di novembre: “E’ una moda passeggera l’assalto al debito italiano”. Due frasi che descrivono un cerchio tondo come quelli di Giotto. Dentro il cerchio c’è un capo di governo che, in tutta onestà e buona fede, non ha capito nulla di quel che accadeva nel mondo, in Italia, in economia e politica. Non ha capito, non capiva e genuinamente offriva questa sua incomprensione, questo suo non capirci nulla agli italiani. Non mentiva, non imbrogliava, non aveva pensieri profondi nascosti dietro parole semplici e concetti esigui. No, lui era, è ed è sempre stato così: un uomo della strada e del bar, dello stadio e della barzelletta. Uno qualunque, uno dei tanti, uno di noi. Quindi uno inadeguato a governare. Perché il governo non è la strada, non è il bar e neanche lo stadio e non le barzellette o il buonumore. Il governo dell’uomo della strada e del bar, il governo di “uno di noi” è quello che negli ultimi cinque mesi ha portato a un’Italia disperata e lì l’ha lasciata. Per questo non c’è festa e neanche lacrime: niente da rimpiangere, niente da gioire.
“Uno di noi” al governo è quello che non sa di preciso cosa fare. Non quando perde la maggioranza alla Camera. E nemmeno oggi dove prima fa gli auguri a Mario Monti e poi un po’ ci ripensa e dice: “Sul governo Monti decido alla fine”. Una banderuola al vento non per calcolo e cattiveria ma perché sprovvisto di una carta dei venti. E, se gliela mettono in mano, non sa leggerla. “Uno di noi” non comprende, in fondo non è tenuto a capire un anno fa, due anni fa, che l’Italia con uno dei più grandi debiti pubblici al mondo e una produttività ferma da più di un decennio o cambiava i connotati socio economici o finiva dove è finita. “Uno di noi” non comprende, in fondo non è tenuto a capire che se annunci una tassa e poi non la metti, se annunci una riforma e poi non la fai, bruci denaro e non solo parole. “Uno di noi” al governo, l’uomo della strada al comando è un danno. Sempre, comunque, dovunque.
Inadeguato a governare fin dal suo identikit culturale, emotivo e professionale. Eppure è stato al governo, con brevi pause, per quasi diciotto anni. Per molte ragioni, ma una forse tra tutte: questa favola bugiarda dell’uno di noi al comando agli italiani è piaciuta. E’ stata una democratica, di massa e condivisa ignoranza civile ad alimentare la favola bugiarda. Uno di noi al comando, più che far male, non sa cosa fare. E pasticcia, proclama, si imbroglia… Uno di noi al comando è quelli che decine di milioni di italiani hanno sognato, un lucido delirio sognato anche da chi Berlusconi non ha mai votato. Vaccinati per sempre da questo sogno? Nell’ultimo mesto week-end di Berlusconi, nell’Italia disperata che i suoi ultimi cinque mesi lasciano è lecito purtroppo dubitarne. Un ventennio di “uno di noi” che apre bocca e gli dà fiato e questa è spacciata per democrazia non svanisce in un fine settimana.