ROMA – A 32 anni esatti dalla scomparsa di Emanuela Orlandi, avvenuta la sera del 22 giugno 1983, dettagli del mosaico delle indagini sul mistero che da allora ha avvolto la scomparsa di Emanuela Orlandi affiorano dalle carte della richiesta di archiviazione dell’inchiesta sul mistero Orlandi firmata dal Procuratore della Repubblica di Roma Giuseppe Pignatone.
Sono dettagli che ancora oggi fanno discutere.
Una tessera del mosaico riguarda il vigile urbano Alfredo Sambuco, una delle due persone che si usa credere abbiano visto Emanuela Orlandi poco prima che sparisse il 22 giugno 1983,mentre parlava con un uomo fermo davanti a una BMW che le mostrava campioni dei prodotti di bellezza estratti da una borsa recante la scritta esterna Avon, nome di una famosa casa di prodotti cosmetici. Si tratta di una scena che per i patiti del “rapimento”, politico o malavitoso che sia, è la prova provata del fatto che Emanuela è stata adescata con la proposta di distribuire volantini della Avon a una sfilata di moda.
Peccato però che Sambuco il 18 ottobre 1985, interrogato dal magistrato Ilario Martella, abbia negato esplicitamente di avere visto una qualche scritta sulla borsa del tizio che parlava con una ragazza somigliante alla Orlandi. Ecco cosa si legge nel verbale della deposizione del vigile urbano:
“MARTELLA – Lei, nella relazione di servizio, ha affermato che l’uomo di che trattasi [quello con la BMW, ndr] mostrava alla ragazza una borsa contenente presumibilmente cosmetici; specifichi se su tale borsa risultasse apposta qualche scritta, e in base a quali elementi lei ha presunto che nella borsa fossero contenuti dei cosmetici.
SAMBUCO – Sulla borsa in questione non ricordo di aver notato alcuna scritta; ho presunto che l’uomo commerciasse in cosmetici, dal momento che faceva notare alla ragazza dei campioni che richiamavano tale tipo di prodotti”.
La cosa strana è che la favola del vigile che nomina la Avon è contenuta pari pari anche nella sentenza istruttoria di archiviazione firmata nel dicembre 1997 dall’allora giudice istruttore Adele Rando.
Un altro dettaglio riguarda don Piero Vergari, di cui è stato scritto che fu cappellano del carcere romano di Regina Coeli. Don Piero Vergari, che è stato rettore di Sant’Apollinare, la chiesa che domina le ultime ore di Emanuela Orlandi, è uno dei sei indiziati per la scomparsa della Orlandi per il quali è stato chiesto il proscioglimento. Don Vergari però non è mai stato cappellano di nessun carcere, in quello di Regina Coeli era solo un aiutante volontario del cappellano, come ci tiene a ripetere:
“Ero aiutante cappellano volontario. Normalmente ero lì solo ogni sabato. A Pasqua ero anche presente per la benedizione dei detenuti e delle celle”.
Ne approfittiamo per intervistarlo, dopo avere ricordato ai lettori che don Vergari ha ricevuto un avviso di garanzia per la scomparsa della Orlandi solo ed esclusivamente perché era il rettore della basilica di S. Apollinare nel 1990, quando permise che vi venisse sepolto Enrico De Pedis, il presunto “boss della banda della Magliana” ucciso all’inizio di quell’anno, ma in realtà incensurato e non sottoposto a misure cautelari di un qualche tipo.
Don Vergari, dopo la richiesta di suo proscioglimento firmata dal procuratore della Repubblica Giuseppe Pignatone nei giorni scorsi, le hanno restituito ciò che le avevano sequestrato, compreso il suo computer. Può spiegare cosa le avevano sequestrato, quando e perché?
“Mi hanno sequestrato solo il mio computer. Non so perché lo hanno fatto”.
E cosa è emerso da quanto le hanno sequestrato?
“Nulla di nulla. Mi è stato detto che “non si ravvisano esigenze di carattere probatoio e preventivo da tutelare””.
Ma allora come mai lei è stato descritto sia a “Chi lha visto?” che su alcuni gruppi di Facebook come un poco di buono?
“E io che ne so?! La fantasia di certe persone può raggiungere traguardi inimmaginabili”.
Si è arrivati a dire che lei non usciva dal Vaticano per timore di un ordine di cattura.
“Immaginazioni fantastiche. O se preferisce, fantasticherie immaginifiche”.
Pietro Orlandi a “Chi l’ha visto?” ha sostenuto che in Vaticano gli avevano detto che nelle stanze sotterranee della basilica di S. Apollinare, della quale lei era il rettore, “avveniva di tutto e di più”, con chiara allusione quanto meno a orge. Può spiegare cosa avveniva in quelle stanze?
“Non c’erano stanze nei sotterranei, ma solo camere mortuarie di un vecchio cimitero, rimesse in ordine circa 30 anni prima del 1983 e ancora molto umide. Non so cosa abbiano detto a Pietro, ammesso che gli abbiano detto di queste cose, e francamente non mi interessa saperlo. Non amo i pettegolezzi, le insinuazioni e le accuse a vanvera”.
Pietro Orlandi ha sostenuto che nell’ossario di S. Apollinare sono state rinvenute anche ossa di bambini e questo gli ricordava “i riti con sacrificio finale di bambini”. In S.Apollinare si tenevano di questi riti, in uno dei quali sarebbe stata uccisa Emanuela Orlandi?
“Non diciamo sciocchezze! C’era l’ossario, che ho visto murato e tale ho lasciato. Mi dissero gli addetti al restauro di S.Apollinare che conteneva le ossa degli antichi parrocchiani, quando non esistevano ancora i cimiteri fuori città istituiti da Napoleone e si usava ancora seppellire i defunti sotto le chiese o nella terra attorno”.
Sempre Pietro Orlandi sostiene anche che Emanuela potrebbe essere stata attirata un trappola nella basilica di S. Apollinare dicendole che avrebbe dovuto ritirarvi dei volantini pubblicitari dei prodotti di bellezza marca Avon. Nella basilica lei o altri tenevate materiale pubblicitario di prodotti di bellezza?
“Mi sta prendendo in giro? Gli unici profumi che si sentivano nella basilica, erano gli incensi delle celebrazioni liturgiche e la trementina che mista alla cera d’api serviva per lucidare i manufatti lignei di S. Apollinare”.
Lei ha sostenuto di avere conosciuto Enrico De Pedis nel 1981 o anche prima, e quindi c’è chi afferma che lei avrebbe potuto chiedere a De Pedis la cortesia di far sparire il cadavere di Emanuela, sparita nel giugno del 1983. Poiché non era sicuro dell’anno, lei ha detto di averlo conosciuto “al tempo della detenzione di un certo Massimo Speranza che lo accusava”. Ma Speranza, interrogato dal magistrato Luigi De Ficchy il 20 maggio 1985, ha accusato De Pedis solo dopo l’arresto di questi nel novembre 1984. Quindi lei De Pedis lo ha conosciuto solo dopo il novembre 1984, anzi dopo le accuse lanciate da Speranza nel maggio dell’anno successivo, 1985, vale a dire tra un anno e cinque mesi e quasi due anni DOPO la scomparsa di Emanuela, e NON prima.
“Io chiedere a qualcuno il favore di far sparire un cadavere? Ecco un bell’esempio di come la fantasia di certe persone possa raggiungere vette inimmaginabili! Ho ripensato bene a quegli anni. Ora sono sicuro di avere conosciuto Enrico a Regina Coeli intorno al 1985-86. Credo di non avere mai parlato con lui della ragazza scomparsa, d’altronde non mi fermavo certo a leggere locandine o manifesti affissi anche nelle vicinanze di piazza Navona, che è vicina a S. Apollinare”.
È stata mandata in onda anche la registrazione di una conversazione tra un giovane e lei nel corso della quale il giovane tentava di coinvolgerla in faccende erotiche, mentre lei pazientemente non gli dava corda e parlava d’altro. Si è molto malignato sui rapporti tra lei e i giovani extracomunitari che lei ospitava secondo alcuni anche nella basilica di S. Apollinare. A me risulta che lei ad alcuni di questi giovani ha anche cercato e trovato lavoro. Ci può spiegare come stavano le cose? E perché a un certo punto i suoi superiori hanno vietato la prosecuzione della sua attività di formazione spirituale e religiosa di quei giovani?
“La cosa è questa: a un giovane che era stato mio ospite accolto poi in un seminario, tra le altre cose da fare in comunità toccava la custodia dell’orto. Quando andai per partecipare alla sua ordinazione sacra mi volle dare alcuni prodotti frutto del suo lavoro: zucchine, pomodori, cetrioli, fagioli e alcuni odori. Poi fu trasferito in altro seminario e gli domandai una volta che mi chiamò, se ancora custodiva l’orto come nella casa precedente. Tutto qua. Se lui è stato tendenzioso in quella telefonata io non ci ho neppure fatto caso. Il lavoro che grazie alla Provvidenza ho fatto per tanti giovani, era una mia iniziativa personale, portata avanti con sacrificio: poi aumentando il numero dei giovani (arrivati fino a 30) mi dissero che il lavoro di discernimento lo dovevano fare i miei superiori canonicamente incaricati, anche se verso di me nutrivano stima e apprezzamento.
Faccio un paragone volutamente provocatorio. Galla Placidia ha generosamente collaborato alla costruzione della basilica e dell’arco trionfale di S. Paolo Fuori Le Mura e per questo è ricordata negli splendidi mosaici. Perché mai noi, nel nostro piccolo, non avremmo potuto e dovuto aiutare ancora più evangelicamente i 40 poveri che ci frequentavano e anche aiutare la ventina di giovani studenti sacerdoti provenienti da ogni parte del mondo che servivano la basilica con tanto zelo?”.
Ci spiega perché mai De Pedis è stato sepolto nella sua basilica e se c’era anche altra gente che vi sarebbe stata sepolta se nel frattempo lei non fosse stato sostituito? Io questa storia la conosco bene e ne ho scritto più volte, ma sarebbe utile avere la sua versione.
“Riattivare le camere mortuarie, con il permesso e il benestare dei miei superiori, sarebbe servito innanzi tutto a risanare gli ambienti, devastati da umidità e infiltrazioni d’acqua della falda sotterranea, e poi a coivolgere le famiglie dei defunti in opere di bene anche a favore delle tante attività che portavamo avanti”.
In conclusione, cosa ha da dire e che nessaggio manderebbe a chi in questi due anni l’ha accusata di tutto e di più, compreso un ruolo nella morte di Emanuela Orlandi a conclusione di un’orgia finita male? Che fa, perdona o sporge denuncia?
“Così stando le cose, non ci resta che elevare a Dio e alla Vergine Benedetta una preghiera fatta in doveroso silenzio, per la pace dei vivi e dei defunti. A chi insiste e persevera con accuse balorde ricordo un bel proverbio: “Errare humanum, perseverare diabolicum”. Per noi cristiani perdonare è meglio che perseguire penalmente, anche se qualche querela sarebbe giusta. Sto per andare a trovare miei parenti lontano dall’Italia e mi fermerò da loro per un po’. Al ritorno spero di non sentir più parlare di questa brutta storia”.