Nel mistero di Emanuela Orlandi, Marco Fassoni Accetti prova a scrivere una nuova puntata della saga che sta per compiere, il 22 giugno, il trentesimo anniversario.
Lo fa in modo un po’ oscuro e contorto, con accuse, difese e oblique allusioni. Nell’insieme, il tutto sa di solenne presa in giro: dei lettori, degli spettatori della tv, della magistratura, che, invece di occuparsi di cose serie, è costretta a riesumare ossa secolari e spendere milioni dei nostri euro per cercare un introvabile Dna.
Non si capisce se gli autori della serie di sparate, che ci hanno rallegrato negli ultimi mesi, abbiano esaurito le cariche oppure se i mezzi colpi tirati negli ultimi giorni da Marco Fassoni Accetti siano invece il preludio alla sparata finale, come si addice a un ben organizzato spettacolo pirotecnico.
Marco Fassoni Accetti è entrato in modo prorompente sul palcoscenico del circo che da anni offende la memoria della povera Emanuela Orlandi, portando a Chi l’ha visto? un flauto traverso uguale a quello che suonava Emanuela Orlandi. Che poi il flauto traverso si chiami anche piffero è una pura coincidenza.
Marco Fassoni Accetti ha anche parlato per ore e ore con il procuratore aggiunto della Repubblica a Roma Giancarlo Capaldo ma cosa gli abbia detto davvero nessuno lo ha mai saputo. Sono usciti sui giornali sono flash di origine incerta. Fassoni Accetti sostiene che sono storie origliate malamente e riferite di terza mano.
A un certo punto però Mfa e Clv sembrano avere litigato. Chi l’ha visto? ha agitato fantasmi di pedofilia legati a un processo per l’investimento e l’uccisione di un ragazzino da parte di Fassoni Accetti, che però lui respinge sdegnato, anche con argomenti di un cinismo inquietante.
MFA è andato a parlare con il magistrato Giancarlo Capaldo a fine marzo. MFA però, forse perché deluso che in tal modo nessuno aveva potuto fare arrivare indiscrezioni alla stampa, anziché aspettare, ha preferito correre da “Chi l’ha visto?” per la nota vicenda del flauto. Il che può far pensare che più che all’accertamento della verità di quanto aveva raccontato fosse interessato alla pubblicità che le sue “rivelazioni” avrebbero inevitabilmente provocato.
Il lungo sfogo arringa requisitoria è sul blog di Marco Fassoni Accetti. Qui ne riproduco un paio di capitoli, che danno un’idea di cosa si tratti e anche del profumo di presa in giro che ne proviene.
“Quando inizialmente mi recai in Procura il 27 marzo 2013 dichiarai che mi presentavo principalmente per chiarire il fatto dell’investimento occorsomi nella pineta di Castel Porziano. Avevo patito all’epoca ingiuste ed abominevoli accuse e la conseguente assoluzione non mi aveva affatto acquietato e volevo chiudere moralmente quel caso, che all’epoca non potevo delucidare pienamente in quanto avrei dovuto motivare la mia presenza in quell’area.
“Ed ora, per farlo, dovevo necessariamente mettere il suddetto fatto in rapporto alle scomparse Emanuela Orlandi – Mirella Gregori, rivelarne la consustanzialità. Auspicavo, attraverso un appello rivolto a certi ecclesiastici ormai in pensione, il loro presentarsi e contribuire con la testimonianza, coscienti che non si trattò di fatti ferali. Era l’appropriato momento storico, con l’elezione di un Pontefice non curiale, per sperare che in certi contesti venissero meno certe difese.
“Tutto questo risulta essere nel primo verbale firmato presso il giudice G. Capaldo. In seguito, per dar vigore all’appello, necessitavo d’un momento mediatico quale il ritrovamento del flauto, ed alla redazione della trasmissione di Rai 3 spiegai minuziosamente quanto raccontato in Procura e sopra esposto. Per tutta risposta questi autori hanno omesso il dire che la mia prima intenzione fosse quella di riaprire il caso della pineta e all’interno della puntata, ingannando i telespettatori, hanno fatto credere che, indagando sui miei trascorsi, fossero stati loro ad aver “scoperto” la vicenda dell’investimento.
“[Chi l’ha visto?] asserisce che un elemento probante nei miei confronti è il fatto che io, recandomi verso la pineta, abbia incrociato la strada percorsa dal ragazzo il quale era avviato verso la propria abitazione. Questo semmai è un elemento di discolpa, perché sono io a raccontare, la notte dell’arresto, ai carabinieri, di aver percorso quella strada. Se lo avessi veramente adescato e rapito mi sarei ben guardato dal riferire di aver percorso la stessa strada del ragazzo, e avrei potuto mentire dicendo di aver utilizzato un’altra via per raggiungere la pineta. Al momento dell’interrogatorio non ero a conoscenza della provenienza del ragazzo che avevo investito”.
Qui comincia una parte che fa accaponare la pelle. Tema: come stuprare e uccidere un ragazzino.
“Adescare un ragazzino che sta rientrando in casa verso le 18:30, in una serata buia, non ti lascia molto tempo disponibile per un eventuale rapporto sessuale. All’Eur ci sono tanti luoghi isolati, come anche all’inizio della Colombo, che porta verso il mare: sterrati, boschetti, piccole pinete. Non vi è la necessità di percorrere 20 km., quasi fino al mare, con un bambino che è atteso in casa, e la cui assenza prolungata procurerebbe un allarme.
“Né si può pensare con certezza che, oltre all’intenzione di un rapporto, vi sia quella di sopprimerlo comunque. Si dovrebbe poi immaginare quale potrebbe essere la reazione del ragazzo ad un approccio di carattere sessuale, e quindi esser pronti ad immobilizzarlo e a non permettergli di fuggire.
“Ma anche in caso di fuga lo si può raggiungere a piedi, sopprimerlo e nasconderlo nella vegetazione, ritornando poi con calma per una eventuale sepoltura. Tra l’altro non è agevole rintracciare con un furgone un ragazzino che sta fuggendo nel buio tra gli alberi di una pineta. E poi correndo a 60 kmh ancor più è difficoltoso identificarlo.
“Inoltre è inverosimile la circostanza ricostruita nel filmato della trasmissione Rai [Chi l’ha visto?], in cui una persona può fuggire correndo innanzi ad un furgone lanciato a 60 kmh all’inseguimento (velocità stabilita dalle perizie della polizia scientifica). L’autista dovrebbe poi avere la consapevolezza che l’urtare un corpo a quella velocità non può che creare danni alla meccanica dell’autovettura, pregiudicandone il funzionamento e conseguente ritorno in città.
“E dopo l’investimento perché mai lasciare il corpo sul ciglio della strada, con la possibilità di essere rinvenuto, e non piuttosto rimuoverlo ed occultarlo nella vegetazione circostante? Non si può pensare che sia riconducibile alla mia persona il profilo appena delineato di un mentecatto, privo di ogni capacità raziocinante. Inoltre non sono state rilevate impronte digitali del ragazzo all’interno del furgone. All’interno del quale non ero solo, ma in compagnia di una ragazza. Tra l’altro, in quei tempi, ero sempre accompagnato da ragazze per motivi di copertura.
“La trasmissione della Rai [Chi l’ha visto?], con la sua ricostruzione dolosamente fasulla di un ragazzo che corre fuggendo innanzi ad un furgone, ha offeso la Magistratura, i periti e il suo stesso pubblico”.
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