Emanuela Orlandi. Marco Fassoni Accetti: errori e fantasie di un abile regista

ROMA – Marco Fassoni Accetti nel mistero di Emanuela Orlandi: concludo il mio lungo studio/analisi del suo comportamento e delle sue contraddizioni (eufemismo) in questa quinta parte. Per comodità di esposizione e di lettura, ho diviso il mio lavoro in 17 punti e una serie di conclusioni. Nelle precedenti quattro parti sono stati visti i punti da 1 a 16.

Ora arrivo alle:

CONCLUSIONI

17) – Torniamo ora finalmente al flauto “di Emanuela Orlandi”, l’evento che grazie a uno scoop di “Chi l’ha visto?” lancia lo sconosciuto fotografo Marco Fassoni Accetti nel cielo delle grandi cronache e annesse fame.

La magistratura non ha trovato nessuna traccia di Dna che permetta di affermare che quello strumento musicale sia mai stato in possesso di Emanuela Orlandi. Che non lo sia mai stato era evidente, come abbiamo subito scritto, grazie al fatto che nella confezione (strumento più astuccio contenitore) mancava stranamente l’asticella con il tamponcino con il quale il proprietario asciuga sempre il suo flauto dalla saliva e dalla condensa del fiato emesso mentre lo suona.

È chiaro che il tamponcino avrebbe permesso facilissimamente di risalire al Dna del proprietario o dei proprietari nel caso fossero stati più d’uno. Ed è altrettanto chiaro che la strana mancanza di tale tamponcino autorizza a sospettare che sia stato tolto a bella posta per evitare si trovassero tracce di Dna che avrebbero escluso l’appartenenza a Emanuela Orlandi. O avrebbero autorizzato a sospettare che si trattasse di un vecchio flauto acquistato usato, privato quindi del tamponcino igienico personale dal venditore, come se ne possono acquistare da un robivecchiaro oppure online, visto anche che abbiamo dimostrato che online, per esempio tramite eBay, se ne possono acquistare molti del tipo e dell’epoca di quello fatto trovare da Marco Fassoni Accetti.

Fermo restando il fatto che, come mi ha dichiarato il vero insegnante di flauto di Emanuela Orlandi – ben diverso dal maestro Lello Balboni, all’epoca già morto da mesi, incredibilmente indicato da “Chi l’ha visto?” lo scorso aprile – lo strumento di Emanuela non era della marca Ramponi&Cazzani, non era cioè della marca dell’attrezzo fatto trovare da Marco Fassoni Accetti, bensì uno Yamaha.

Nonostante tutto ciò, nella sua pagina Facebook il signor Marco Fassoni Accetti, come già sappiamo, dopo avere gratificato con l’aggettivo “eterni mentecatti” coloro che non la pensano come lui, ha scritto che le analisi ordinate dalla magistratura non hanno potuto escludere che il flauto sia proprio di Emanuela e che anzi la magistratura “ne ha dichiarato la compatibilità”.

A parte il fatto che la magistratura non può avere già dichiarato nulla perché le analisi non erano e non sono ancora del tutto completate con tanto di conclusione scritta comunicata alle parti, abbiamo già visto come lo strano ragionamento di  Marco Fassoni Accetti porti a conclusioni eclatanti, ed esilaranti, riguardo la possibilità che papa Wojtyla o Mike Bongiorno possano avere usato la mia bicicletta o le mie padelle. Ragionando come ragiona  Marco Fassoni Accetti, si può sostenere che tutti i flauti fabbricati prima del 1983 possono essere stati quello di Emanuela visto che su nessuno di loro si troverebbero tracce del suo DNA esattamente come NON se ne sono trovate su quello portato in dote da Marco Fassoni Accetti.

Questa logica fassonaccettiana, versione lunare del sillogismo, porta per esempio anche a concludere che chiunque non abbia un alibi per un qualsiasi delitto non si può escludere che ne sia il colpevole. Sarebbe perciò lecito accusare  Marco Fassoni Accetti di qualunque delitto nel quale non ci siano né le sue impronte digitali né altre tracce organiche….

Marco Fassoni Accetti dimentica allegramente che è lui che deve dimostrare l’appartenenza del flauto a Emanuela Orlandi, e che la magistratura tale appartenenza non l’ha affatto accertata.

Abbiamo così elencato 16 lucciole che il buon  Marco Fassoni Accetti  ha scambiato e spacciato per lanterne. Per farci un’idea della sua attendibilità e di come stiano in realtà le cose, credo possano bastare.

PRIMA CONCLUSIONE

Anche se questa confusione tra realtà e desideri potrebbe far venire in mente il modo di procedere dei mitomani, io non mi spingo fino a dire che  Marco Fassoni Accetti  è un mitomane. Mi limito a dire che pecca di ottimismo autoreferenziale. E che i 17 casi che ho potuto elencare grazie al suo prezioso contributo volontario inducono a pensare che confonda un po’ troppo spesso il reale con il suo immaginario e desiderato, le lucciole con le lanterne.

SECONDA DOMANDA

Potrebbe  Marco Fassoni Accetti  avere mutuato le sue narrazioni, pur in buona fede come ho ipotizzato in un mio articolo, dallo studio paziente di vecchi articoli, libri, ecc.? Qui non c’è bisogno di elencare 16 punti, ne basta uno.

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Nella sua foga istrionico accusatoria il signor Marco Fassoni Accetti ha commesso un altro errore. Per sostenere le sue varie affermazioni, che come abbiamo dimostrato sono solo la proiezione di sue ipotesi e/o suoi desideri, ha mostrato una notevole capacità di ricerca di notizie e notiziole vecchie e nuove, articoli e post di siti e blog, commenti di articoli su giornali online, ecc.

Insomma, Marco Fassoni Accetti  è un buon raccoglitore e ritagliatore di carte vecchie e nuove oltre che di siti Internet, interviste radio e televisive reperibili online, ecc., con cui alimenta un proprio archivio composto da fascicoli e dossier per singoli nomi e argomenti. Per carità, nulla di illecito. La spigolatrice di Sapri non avrebbe saputo fare di meglio. E la buonanima del generale dei carabinieri Giovanni De Lorenzo, il grande fasciolatore del Piano Solo, avrebbe forse apprezzato un tale zelo, nonostante l’errore marchiano sulle lettere di Boston. Nessuno è perfetto…

SECONDA CONCLUSIONE

Questa sorprendente ed encomiabile capacità archivistica del signor Marco Fassoni Accetti, anche se non priva di qualche pecca, potrebbe far venire in mente ai maligni che – in pura ipotesi nella veste di esercizio scolastico – la sua versione dei fatti riguardo il caso di Emanuela Orlandi – con annesse notizie su indirizzi di cabine telefoniche, chiamate dell’Americano, notiziole giudiziarie sul caso Orlandi e sul caso Gregori, ecc. – potrebbe averla preparata o confortata con una lunga ricerca d’archivio sui fatti e sulle notizie pregresse.

O no? Mi viene in mente quando in vista di un esame o di una interrogazione importante mi preparavo consultando a tutta birra libri, testi vari, appunti di lezioni, ecc., redigendo a mia volta appunti e memorandum onde allenare la memoria e superare bene l’esame. Fossi stato un regista come Marco Fassoni Accetti  e fossi passato per la scuola di recitazione ospitata nel localone della sua famiglia, per fare una figura migliore con professori ed esaminatori l’esame mi sarei magari allenato anche a recitarlo: per essere sciolto, sicuro di me, più convincente, per nulla titubante, con un eloquio accattivante.

Poiché Marco Fassoni Accetti  quando parla in pubblico ha sempre un tono declamatorio, l’impressione che stia recitando è inevitabile. Per i miei esami, avrei magari anche pianificato una accorta regia espositiva per impressionare ancor più favorevolemente gli interlocutori. C’è forse qualcuno che non farebbe così?

A proposito di interrogazioni, Marco Fassoni Accetti commette un altro errore e, a causa del suo amore per i vocaboli inusuali che fanno tanto specialista, cade anche in un’altra “piccola” imperfezione. Nella sua sterile polemica contro di me, Marco Fassoni Accetti  ha sostenuto su Facebook che il millantatore Luigi Gastrini (fresco di condanna a otto mesi di carcere per essersi inventato di essere stato l’”ex 007 Lupo” dei nostri servizi segreti militari e di avere organizzato lui per loro conto il “rapimento” di Emanuela, alla faccia evidentemente sia di Marco Fassoni Accetti che di altri) non è stato “audito 14 volte” come invece lo è stato lui:

Marco Fassoni Accetti Il signor Gastrini non è stato audito 14 volte in procura. E non è stato indagato. Per essere riconvocato devi dimostrare fin dalla prima udienza di “ricordare” bene. Il signor Nicotri per le sue conoscenze non è mai stato chiamato.Cerchi di essere riflessivo prima di scrivere.10 novembre alle ore 12.50 ·

Bene. Intanto il termine “audito” si applica più correttamente ai testimoni, ma non agli inquisiti e tanto meno agli imputati, per quali ci sono gli interrogatori e le deposizioni. Marco Fassoni Accetti per dimostrare che i magistrati a lui lo hanno preso sul serio afferma di essere stato raggiunto da una informazione di garanzia per il caso Orlandi: dal ricevimento di questa informazione di garanzia in poi Marco Fassoni Accetti non è stato più “audito”, bensì più correttamente interrogato. Le “audizioni” sono diventate deposizioni. Quindi le sue “audizioni” sono certamente meno, e magari anche molto meno, di una 15ina visto anche che l’avviso di garanzia era un atto dovuto pressocché immediato.

Questa osservazione sulla differenza tra l’audizione, l’interrogatorio e la deposizione è forse solo una questione di lana caprina, dovuta alla mia estrema pignoleria (che ancheMarco Fassoni Accetti ha fatto il grave errore di sottovalutare….).

Non è invece questione di lana caprina il fatto che la signora Sabrina Minardi, altra super super supertestimone – ma su fatti che smentiscono clamorosamente la versione di Marco Fassoni Accetti, oltre a quella sbugiardata dell’”ex 007 Lupo” – è stata anche lei “audita” e interrogata più volte in un lungo arco di tempo.

Non sappiamo se la palma spetti a lei o a Marco Fassoni Accetti, lo sapremo a inchiesta chiusa. Sappiamo però con certezza che la signora Sabrina Minardi è la dimostrazione vivente che la quantità delle audizioni e degli interrogatori non si trasforma ipso facto in qualità. O più esattamente: non si trasforma in qualità positiva. Può invece trasformarsi in qualità pessima. Magari anche orrenda. E finire così nella galleria degli orrori giudiziari. Che non pochi quattrini costano al contribuente che paga le tasse.

E le tasse non le paghiamo per vedere i nostri sudati quattrini sciupati così malamente in ormai ben 30 anni di messinscene una più inaccettabile dell’altra.

TERZA CONCLUSIONE

Sempre più simile a uno spettacolo dove si recita a soggetto improvvisando, il mistero Orlandi continua, nel tentativo di farlo diventare un mistero sine die. Anzi: il mistero d’Italia per antonomasia. Buono quindi per film o serie televisiva con annesso lucro. Guarda caso, ogni volta che si sta per arrivare alla fine del periodico supplemento di indagini ecco che arriva, puntuale come un treno svizzero, un nuovo pirotecnico colpo di scena. Il cui destino è sempre lo stesso: dopo i fuochi d’artificio di turno, finire in una bolla di sapone. Intanto però lo spettacolo è continuato per un bel pezzo e, soprattutto, si è evitato che le indagini venissero finalmente concluse. E che del caso Orlandi non se ne parli finalmente più.

POSTI SCRIPTUM

1) – “Il prelevamento davanti al Senato avvenne con la partecipazione del signor De Pedis, che io fotografai”,

 ha affermato ai magistrati Marco Fassoni Accetti. Peccato che il rullino con le foto lo abbia consegnato a non si sa bene chi, motivo per cui di quelle foto non esistono le immagini, ma solo le parole del sedicente organizzatore del “rapimento”… A parte il fatto che chiunque abbia conosciuto Enrico “Renatino” De Pedis scoppia a ridere a sentirsi dire che si prestava a cose del genere. Per giunta organizzate da un giovin signore qualunque come l’allora sbarbatello Marco Fassoni Accetti.

2) Subito dopo avere parlato dell’immancabile Enrico “Renatino” De Pedis, Marco Fassoni Accetti ha inoltre rivelato che nella fantomatica “Bmw (?) del sequestro”, bontà sua questa volta finto,

“c’era un nostro uomo in abiti talari, scelto in quanto somigliante a monsignor Liborio Andreatta, prelato della fazione avversa”.

Tutti si chiedono come mai Marco Fassoni Accetti getti sotto i riflettori il nome di un monsignore di notevole peso, oggi è infatti il vice presidente dell’Opera Romana Pellegrinaggi facente capo al Vaticano, il cui nome in questi 30 anni non è mai stato fatto da nessuno. Non l’ho fatto neppure io, evitando a bella posta nei miei libri di dire che era lui il prelato al quale si riferiva una insinuante lettera anonima partita a suo tempo dal Vaticano e spedita ai magistrati da un “padre confessore”.

Perché Marco Fassoni Accetti spende ora quel nome? Guarda caso, nel suo libro “L’affaire Emanuela Orlandi” la fotografa romana Roberta Hidalgo ha scritto che la sera di quel 22 giugno Emanuela, dopo essere tornata a casa dalla scuola di musica, uscì dal Vaticano per salire sull’auto ferma davanti Porta S. Anna con a bordo proprio don Liborio. E sparire così per sempre.

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