Emanuela Orlandi: Fassoni Accetti, copione di Sabrina Minardi?

Il flauto traverso, o piffero, è una ossessione per il suoerteste Marco Fassoni Accetti

Il mistero di Emanuela Orlandi e il turbine di rivelazioni che prepara i 30 anni dalla scomparsa si arricchisce di un nuovo scoop di Fabrizio Peronaci, del Corriere della Sera, in quella che ormai è una vera e propria saga.

Peronaci non ci crede molto, parla di “dubbi” e “stranezze” e mette molte virgolette, e in effetti la sua stessa cronaca instilla molti dubbi sulla credibilità del racconto, che sembra il frutto di una abile regi studiata a tavolino da una mente degna di Gianroberto Casaleggio piuttosto che frutto di ricordi di vita vera; a maggior ragione in quanto Peronaci fa notare alcune coincidenze con il racconto di Sabrina Minardi, personaggio cui sembra avere dato maggiore credito la trasmissione “Chi l’ha visto?” che i magistrati che a più riprese si sono occupati del msistero.

Ma il dovere di cronista prevale, anche perché gli scoop hanno una solida base nei verbali, custoditi nei faldoni della Procura della Repubblica di Roma, delle dichiarazioni di Marco Fassoni Accetti, il superteste che, a 30 anni dal rapimento, si è deciso a parlare.

Tra dubbi e perplessità Peronaci racconta come, dai verbali degli interrogatori in procura, il racconto di Marco Fassoni Accetti

“autore cinematografico indipendente che ha rivelato di essere stato uno dei telefonisti e di aver incontrato «molte volte» Emanuela Orlandi”

riguardi

“un «sequestro simulato», almeno all’inizio, e attuato in modo soft: la ragazza adescata con la promessa di molto danaro (375 mila lire) per distribuire volantini a una sfilata, indotta dalla presenza di un’amica a non tornare a casa”.

Cosa accadde “quel maledetto 22 giugno”? Emanuela Orlandi fu convinta

“a salire su un’auto a corso Rinascimento”

a Roma, dove ha sede il Senato e a pochi passi dal palazzo di Sant’Apollinare dove c’era la scuola di musica in cui Emanuela Orlandi frequentava il corso di flauto traverso, detto anche piffero. Sul sedile anteriore dell’auto, accanto al guidatore, c’era un componente del gruppo più o meno spionistico cui Marco Fassoni Accetti sostiene di essere appartenuto,

“un nostro uomo vestito da monsignore”,

base dell’argomento usato per convincere Emanuela a salire, perché tanto

“tu abiti in Vaticano e lo sai, Emanuela, dei sacerdoti ci si può fidare…”.

Può essere la verità, può essere la costruzione di un abile sceneggiatore di oggi, sulla base di ipotesi e materiali prodotti in una discreta quantità in questi 30 anni, numerosi libri, inclusi i miei, in cui si è ipotizzato di tutto, una inesauribile miniera di dettagli che nelle mani di un bravo autore possono essere rimpastati in rivelazioni alla apparenza inedite.

Peronaci qualche dubbio sembra averlo, ma si limita a una serie di punti interrogativi. Pur prendendo le debite distanze, non si esime da una esclamazione di stupore:

“E’ uno scenario – quello dell’«allontanamento volontario» di Emanuela Orlandi, così come lo racconta il supertestimone – che toglie il fiato per la sua apparente, sconvolgente normalità”.

[…]

“Ma, adesso, dopo aver delineato «contesto» e «movente» del sequestro (gruppo di contro-spionaggio che con l’apporto di elementi dei servizi e della banda della Magliana agiva per conto di ambienti vaticani, per condizionare la politica della Santa Sede), il superteste avrebbe fornito qualche riscontro.

1. Dove Emanuela Orlandi fu portata quella sera del 22 giugno 1983?

“La portammo a Villa Lante, ai piedi del Gianicolo, in un istituto religioso dove affittavano delle stanze.  Abbiamo avuto l’accortezza di farla stare sempre con ragazze. Le portavamo quanto desiderasse. C’era un bel giardino, le ripetevamo che suo padre era d’accordo e non si sarebbe arrabbiato. E facemmo in modo che una sua amica andasse a trovarla”.

2. Quanto ci rimase?

Restò a Villa Lante per quattro giorni – avrebbe aggiunto il telefonista – Quando voleva fare un giro a Trastevere le mettevamo una parrucca corta. Una volta passeggiamo insieme al Ghetto e lei era divertita, ricordo che parlammo di un progetto di film.

I magistrati inquirenti, riferisce Peronaci, vagliano le “novità” con attenzione:

“per la prima volta qualcuno indica il luogo preciso dove la Orlandi avrebbe pernottato. Naturalmente all’insaputa dei responsabili della struttura di turismo religioso, tuttora attiva in via San Francesco di Sales”.

E dopo?

“Marco Fassoni Accetti ha testimoniato che Emanuela «restò a Roma almeno fino al dicembre 1983, in due appartamenti, uno in centro e uno sul litorale». Poi, essendo lui stato arrestato per un incidente in cui morì il figlio di un funzionario Onu (a suo parere «provocato dal Phoenix-Sisde», parte avversa al suo gruppo), i ricordi si interrompono. Giura di aver saputo che «fu portata all’estero, in Francia», ma sono notizie incerte, de relato…”.

Viene da chiedersi: ma possibile che nessuna delle ragazze presenti, del personale della casa, nessuno abbia avuto mai un dubbio e per 30 anni tutto sia stato dimenticato o avvolto nell’omertà e nel silenzio? E viene anche da chiedersi: perché perdiamo tempo dietro queste storie, che hanno tanto l’apparenza di favole? Peronaci avverte:

“Restano i dubbi. E le stranezze”.

E qui Peronaci, che la sa più lunga di quel che vuol fare apparire, fa una osservazione che punta nella direzione della “mastermind”, una unica regia delle rivelazioni:

“La rivelazione su Villa Lante, comparata con quelle di qualche anno fa di Sabrina Minardi, l’ex amante del boss De Pedis che raccontò di aver «consegnato» Emanuela a un prete, presenta due punti in comune: il Gianicolo e il passaggio di mano della ragazza da un «braccio operativo» ad ambienti ecclesiastici. Dopo, però? Dove è stata trasferita la vittima dell’atroce macchinazione? In che circostanze il sequestro ideato come «azione di pressione» si è trasformato in vero rapimento (e forse omicidio)? “

In realtà le coincidenze con i racconti di Sabrina Minardi sono più di due. Vediamoli.

1.Minardi:

“…omissis accompagnare la ragazza da benzinaio dove c’era una macchina targata Città del Vaticano che attendeva la minore. «C’era un signore con tutte le sembianze di essere un sacerdote – ha aggiunto – aveva il vestito lungo e il cappello con le falde larghe. Scese dalla Mercedes nera, io feci scendere la ragazza. Guardò la ragazza, la prese e la fece salire nella sua macchina»”.

La Minardi parla di un prete con “cappello a larghe falde”. Se ricordo bene già nell’83 i cappelli a falde larghe per i preti non esistevano più.

2. Il Gianicolo e il mare sono già citati dalla Minardi, e Accetti le ripete…..

3. Via S.Francesco di Sales non è proprio al Gianicolo ma è una traversa di via della Lungara, adiacente al carcere di Regina Coeli che prosegue fino al Gianicolo.

Vediamo le incongruenze nel racconto di Marco Fassoni Accetti.

1. Mi sembra impossibile che Emanuela abbia creduto che i suoi fossero davvero d’accordo a farle saltare il liceo.

2. E’ ridicolo pensare che non abbia mai telefonato ai suoi. Nè da Villa Lante né dalle passeggiate a Trastevere né in seguito.

3. Peronaci non dice a quale cittadina di mare avrebbero portato la ragazza, ma sono pronto a scommette che presto arriverà la rivelazione: l’hanno portata a Torvaianica. Non deve essere un caso che il flauto è stato fatto trovare da quelle parti. E che anni fa durante alcuni lavori in un prato furono rinvenute ossa umane….

Se Marco Fassoni Accetti dice il vero, ne vedremo delle belle. Se si tratta dei preparativi del trentennale, invece, finirà nella solita bolla che si scioglie nell’aria, come già è successo tante volte in questi anni.

 

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