Il mistero di Emanuela Orlandi, avvelena come un miasma l’aria del Vaticano ancora oggi, a 30 anni dalla scomparsa della ragazza. Sarà la temperatura della Sede Vacante.
Mentre il Messaggero di Roma segnala muove attività investigative, una trasmissione in tv di Gianluigi Nuzzi ha riproposto il caso per gli spettatori di La7, anche se non si è confermata all’altezza delle promesse (Come se non bastassero le decine di puntate mandate in onda dal 2005 in poi da Raitre con “Chi l’ha visto?” e l’anno scorso anche da Mediaset con “Quarto Grado“).
Le aspettative infatti erano molte, alimentate dal Corriere della Sera di sabato 23 febbraio, e da un titolo promettente: “Caso Orlandi, le intercettazioni del prete amico del boss”. Il contenuto era ancora più ghiotto, annunciava la messa in onda di intercettazioni di telefonate porno a carattere omosessuale tra quello che è considerato il nuovo Sospettato Numero Uno, un sacerdote, mons. Pietro Vergari e un giovane seminarista.
Tutto faceva pensare che la puntata avrebbe mostrato come gli inquirenti sono ormai arrivati a ritenere responsabile della scomparsa della Orlandi non più chi era nel loro mirino fino a poco tempo fa, ma il sacerdote “puntato” più o meno da un anno.
Ho collaborato in minima parte alla trasmissione di Nuzzi, procurando , una intervista scritta a Carla vedova di Enrico “Renatino” De Pedis, cioè del’uomo che tutti definiscono “il boss della banda della Magliana” anche se non esiste neppure una sentenza giudiziaria che lo confermi. Tant’è che, assai più correttamente degli altri e dello stesso Corriere della Sera, Nuzzi si è ben guardato dal definirlo in quel modo.
Quello che sconcerta è il voler insistere ancora oggi a considerare un mistero il perché della sepoltura di De Pedis in quella basilica, quando è stato chiarito fin dal 1995 al magistrato romano Andrea De Gasperis oltre che da mie inchieste e interviste su Blitzquotidiano negli ultimi due anni scorsi oltre che in un mio libro del 2008.
Si vuole che mons. Piero Vergari abbia conosciuto De Pedis fin dal 1975-76 anziché solo dal 1986, cioè tre anni DOPO la scomparsa di Emanuela. Ma la testimonianza di Mons Vergari da me raccolta non mi sembra lasci dubbi: “Enrico l’ho conosciuto solo più tardi, se non sbaglio nell’86. Ero in visita nel carcere di Regina Coeli e mi dissero che un detenuto di nome mi pare De Bellis voleva parlarmi, ma per errore dovuto alla somiglianza dei cognomi mi portarono De Pedis. Ecco come l’ho conosciuto. Ben dopo l’83. Altro che chiedergli di fare il becchino per conto terzi”.
Mons. Piero Vergari è il sacerdote che ha chiesto e ottenuto il permesso che la salma di De Pedis, ucciso nel febbraio ’90, venisse trasferita dal cimitero del Verano da Roma ai sotterranei della basilica per accogliere una richiesta della vedova.
C’erano ragioni sentimentali (lei aveva infatti sposato de Pedis, nel 1988, proprio in quella basilica) e pratiche (lei lavorava a meno di 200 metri di distanza e le era molto più comodo visitare la tomba del marito lì piuttosto che al Verano). Anche se non è da tutte le vedove potere avere la tomba dell’amato estinto a walking distance, è ormai noto perché mons. Vergari ha detto sì, voleva aprire i sotterranei della Basilica a sepolture private, quindi non solo a De Pedis, come peraltro confermano le centinaia di ossa trovate: inoltre De Pedis lo aveva aiutato in alcune iniziative benefiche.
Riporto il passaggio della intervista che feci a mons. Vergari nel giugno 2012:
“D – Può precisare in cosa sono consistiti gli aiuti di Enrico De Pedis alla basilica o alle sue mense dei poveri? E può spiegare meglio cosa fossero queste mense?
“R – In certe circostanze si facevano per i poveri di Roma degli incontri con il relativo pranzo festivo, lui dava tutto il necessario e se avevo necessità per i libri o altro per i giovani, lui mi metteva la sua offerta in una delle quattro cassette nella cappella della Madonna”.
Eppure, dal 1995 ad oggi, chilometri di inchiostro speso male. C’è chi è arrivato a scrivere che Carla De Pedis avrebbe ammesso con i magistrati di avere versato un miliardo di lire al Vaticano per avere quella tomba, peccato solo che nei verbali non esista nulla di simile per il semplice motivo che si tratta di una delle tante affermazioni affascinanti, ma inventate di sana pianta.
Ormai anche i sassi sanno che Emanuela studiava musica (flauto traverso, pianoforte e canto corale) nel conservatorio Ludovico Da Victoria, sito al quarto piano del Palazzo di S. Apollinare, vicino a piazza Navona, e che tale palazzo NON è la basilica omonima, quella della quale don Vergari era parroco, o meglio il rettore come si usa dire quando si tratta di una basilica, e nella quale De Pedis era sepolto fino a quando l’anno scorso è stato dato finalmente il permesso di cremarne le spoglie.
La basilica è contigua al palazzo, ma pur avendo lo stesso nome, S. Apollinare, si tratta di un’altra e ben diversa costruzione, con ingresso diverso. E’ quindi francamente incredibile che per far apparire agli occhi dei telespettatori Vergari molto probabilmente colpevole del sequestro si arrivi a dire, come nella puntata de La7, che “Emanuela studiava musica nella basilica” e che “don Vergari era il padrone di casa di dove Emanuela studiava con i suoi strumenti musicali”.
Emanuela NON studiava affatto nella basilica, ma al quarto piano del palazzo vicino ma distinto, e Don Vergari non solo NON era il padrone di casa del Palazzo di S. Apollinare, ma lo stesso Palazzo ospitava varie associazioni oltre al conservatorio al suo ultimo piano, il quarto. E ospitava, al quarto piano, anche la segreteria particolare dell’allora vicepresidente della Camera dei deputati Oscar Luigi Scalfaro, futuro ministro dell’Interno e poi anche presidente della Repubblica.
Per carità, tutto è possibile e finché un caso non è risolto è bene sospettare di tutti, ma alterare i dati di fatto certi e inconfutabili per far quadrare i conti che non quadrano mai non è né serio né produttivo. Mons. Vergari poco più di un anno fa ha ricevuto un avviso di garanzia per la scomparsa della Orlandi, ma si è trattato di un atto dovuto per potergli sequestrare il computer e alcune carte che si riteneva potessero essere utili alle indagini. Il tutto sulla scorta del tormentone della pista De Pedis/S. Apollinare lanciata da “Chi l’ha visto?” sulla base di una telefonata anomima che oltre a non dire nulla di preciso aveva un chiaro sapore goliardico (era l’epoca del grande successo del romanzo e della serie televisiva “Romanzo criminale“, che tra i suoi protagonisti sotto pseudonimo si vuole avesse anche De Pedis). Dopodiché don Vergari non ha più avuto altri fastidi, non è mai stato interrogato, fa la solita vita, non teme mandati di cattura, ecc.
Vergari ha conosciuto De Pedis nel ’75-’76 anziché solo nell’86? Non si vede come, visto che Vergari era l’assistente volontario del cappellano del carcere di Regina Coeli, ma solo per il sabato, mentre De Pedis che si sappia a quei tempi era recluso a Rebibbia, dall’altra parte di Roma rispetto a Regina Coeli, che è in quel di Trastevere.
Vergari era gay e aveva telefonate erotiche con un seminarista? E allora? Cosa c’entra con la scomparsa della Orlandi? Vogliamo forse restare ai tempi in cui essere omosessuale significava poter essere colpevole di ogni ignominia e delitto? Suvvia!
In ogni caso, La7 e Nuzzi hanno avuto il buongusto di non mandare in onda le telefonata annunciata dal Corriere, si sono resi conto evidentemente che sarebbe stato solo un abuso, un segno di scarsa civiltà: l’eventuale vita sessuale di don Vergari sono solo affari suoi, se non sfocia in reati: e l’omosessualità non è più un reato.
E’ di pochi giorni fa la “grande novità” del turco Alì Agca che, nella sua 108esima versione dei fatti, accusa addirittura l’ayatollah Khomeini, la guida spirituale dell’Iran, di essere il mandante del suo attentato nel 1981 a papa Wojtyla. Non più dunque la Bulgaria comunista, l’Unione Sovietica ormai scomparsa, “il governo del Vaticano” e via delirando, ma l’Iran: che, guarda caso, è la bestia nera dell’Occidente oggi esattamente come lo era l’Unione Sovietica ieri.
Analogamente, ad avere “rapito” la Orlandi non sono più né gli amici turchi di Alì Agca né quelli della banda della Magliana né Il boss” De Pedis, ma don Vergari e/o affini. Non più dunque un “rapimento” per ricattare politicamente papa Wojtyla e lo Stato italiano pretendendo la liberazione dell’allora ergastolano Agca in cambio della restituzione della Orlandi, e neppure un “rapimento” semplicemente criminale per farsi restituire i grandi capitali prestai allo stesso Wojtyla per finanziare la lotta anticomunista nella natia Polonia.
Ormai siamo scaduti al sequestro per orge con ragazzine, a conclusione delle quali la quindicenne Orlandi sarebbe stata uccisa.
Lo spettacolo continua. Sempre più brutto.
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