Nel mistero di Emanuela Orlandi diventa d’attualità un vecchio proverbio: Se la montagna non va a Maometto, Maometto va alla montagna. Che nella fattispecie è un gruppo che andrà in udienza da Papa Francesco mercoledì 20 novembre. Sono i 40 membri del gruppo della petizione creato oltre due anni fa da Pietro Orlandi su Facebook per chiedere – purtroppo inutilmente – a papa Ratzinger prima e a papa Francesco ora che il Vaticano si decida a dire quello che a quanto pare sa sulla sorte di sua sorella Emanuela, scomparsa come è ben noto il 22 giugno dell’83 e cittadina vaticana come all’epoca tutta la sua famiglia o quasi.
La petizione, o meglio le petizioni al plurale perché inviate anche al Segretario di Stato Vaticano e poi alla Segreteria di Stato in quanto tale non ricevevano nessuna risposta. Così, per fare più pressione, gli aderenti al gruppo si sono dati più volte appuntamento per “marciare” su piazza S. Pietro – partendo ora dal Campidoglio ora da piazza S. Apollinare – in modo da sollecitare il Papa a dire la sua su Emanuela almeno alla fine del suo affacciarsi su piazza S. Pietro alle fine della sua preghiera domenicale dell’Angelus.
A un certo punto anche Walter Veltroni si è augurato pubblicamente che il Papa dalla finestra del suo appartamento si decidesse almeno a nominare Emanuela e salutare il gruppo che si muove in suo nome. Ma l’unico risultato è stato il surreale saluto di Papa Ratzinger il 27 giugno dell’anno scorso perfino a un’associazione di arcieri seguito ancora una volta dal silenzio più assoluto verso il gruppo della petizione, che ha reagito gridando “Vergogna! Vergogna!“.
L’idea di aggirare il muro del silenzio frapposto dal Vaticano è una sorta di uovo di Colombo venuto in mente alla signora Adriana Dari, uno dei primi aderenti alla petizione. Ogni mercoledì nella basilica di S. Pietro c’è un’udienza generale del papa, che riceve cioè la massa di pellegrini, scolaresche e membri di associazioni varie rivolgendo loro la parola su temi vari e salutandone direttamente molti, che spesso si fanno fotografare felici accanto al Papa.
Detto per inciso, proprio questo tipo di foto, scattate nel corso di un’udienza generale dell’83, mostrano Mirella Gregori sorridente vicino al Papa. Sono le foto che hanno innescato la pista del “rapimento” o meglio del “doppio rapimento” per ricattare Papa Wojtyla e costringerlo a restituire i soldi che alcuni “supertestimoni” sostengono, senza però nessuna prova, siano stati prestati dalla malavita romana e dalla mafia alla banca vaticana IOR per foraggiare l’anticomunismo in Polonia e in Sud America.
Per partecipare a tali udienze ci vogliono però degli inviti. Che di solito si trovano facilmente negli alberghi, ostelli e associazioni di Roma che fanno capo alla Chiesa. Inviti di questo tipo erano consegnati appunto ad alberghi e associazioni dal padre di Emanuela, Ercole Orlandi, un commesso della Casa Pontificia detto anche “il postino del papa” perché ne smistava di persona la posta per tutta Roma. E di uno di questi inviti si impadronì Alì Agca, il terrorista che nell’’81 sparò a Papa Wojtyla in piazza S. Pietro per fortuna senza riuscire ad ucciderlo, per poter “studiare” da vicino il futuro bersaglio.
La signora Dari, persona pacata, educata e assai concreta, ha chiesto una quarantina di inviti specificando, a scanso di equivoci, che erano destinati a “un gruppo di aderenti alla petizione per Emanuela Orlandi”. E, incredibile ma vero, il Prefetto della Casa Pontificia ha risposto che i 40 inviti erano stati concessi e che la signora Dari poteva andarli a ritirare nell’apposito ufficio.
Tutto procedeva per il meglio finché lunedì mattina il Corriere della Sera ha rivelato la faccenda. Provocando non poco malumore in Vaticano e a quanto pare anche nello stesso Papa Francesco, il quale con un suo stretto collaboratore è sbottato dicendo qualcosa che in italiano suona più o meno così: “Qualcuno vuole far togliere a me la castagne dal fuoco che non hanno voluto togliere loro” .
Il Prefetto della Casa Pontificia è infatti monsignor Georg Gänswein, detto anche “il bel Georg” per la sua giovinezza e prestanza fisica, ex segretario particolare di Papa Ratzinger, che prima di dimettersi da pontefice lo ha nominato arcivescovo titolare di Urbisaglia – un’antica sede episcopale delle Marche, all’epoca dei romani della Urbs Salvia – e Prefetto della Casa Pontificia. Vale a dire, di fatto, supervisore di tutto il personale e gli uffici che hanno a che vedere con l’attività del pontefice.
Ha quindi destato stupore e disappunto che a permettere l’arrivo in S. Pietro al cospetto di Papa Francesco del nutrito gruppone di “petizionisti” sia stato proprio l’ex segretario di chi non solo non ha mai voluto ricevere né loro né Pietro Orlandi, ma non li ha mai neppure degnati di un saluto dopo la preghiera dell’Angelus e i molti saluti ai gruppi di pellegrini radunati sotto la sua finestra in piazza S. Pietro. A quanto pare, il cerchio magico attorno a papa Francesco e lo stesso papa hanno saputo della cosa solo dalla notizia data loro dalla sala stampa vaticana, che a sua volta l’ha appresa dalla lettura del Corriere della Sera.
Speriamo che non ci siano ripensamenti. E che il Papa colga l’occasione per rivolgersi anche a Pietro Orlandi, in modo da porre fine al lungo trascinarsi di polemiche e accuse – anche tramite giornali e televisione – sempre più pesanti anche se sempre più improbabili.
L’ultima, fresca di poche ore, è vecchia come il cucco, ma è stata lanciata lunedì sera tardi da Pietro Orlandi chissà perché come nuova nella sua pagina Facebook della petizione: “Alì Agca fa un’affermazione nuova e incredibile” ( per chi non conosce bene tutti i retroscena): ”L’attentato al Papa polacco è stato ordito all’interno del Vaticano dal cardinal Casaroli ( allora segretario primo ministro della Città del Vaticano”. Non è il miglior viatico per far ricevere dal papa i suoi 40 “petizionisti” e magari anche lo stesso Pietro.
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