Emanuela Orlandi e il mistero della sua scomparsa: alla vigilia della chiusura della inchiesta, ecco una nuova puntata. Il fratello di Emanuela, Pietro Orlandi ha lanciato un nuovo appello: dopo quelli al Papa e al Segretario di Stato Tarcisio Bertone perché dicano cosa sa il Vaticano sulla sorte di Emanuela, ecco l’appello al procuratore della Repubblica di Roma, Giuseppe Pignatone, perché “l’inchiesta non venga archiviata”.
Orlandi, per il suo appello, ha colto l’occasione datagli dalla puntata di “Chi l’ha visto?” di mercoledì 21 novembre.L’appello sembra quasi una reazione alla notizia della più che probabile archiviazione dell’inchiesta sulle eventuali responsabilità di De Pedis nella scomparsa di Emanuela Orlandi.
Il fratello di Emanuela non fornisce però nessun motivo a supporto e giustificazione della sua richiesta, che risulta così basata solo sui suoi desideri. Desideri che per quanto supportati da una raccolta di firme su Facebook e su un apposito sito internet non possono certo bastare per prolungare un’inchiesta senza sbocchi facendo finta che nel codice penale e nelle procedure giudiziarie italiane non esista ciò che si chiama “scadenza termini”, che serve per impedire la prosecuzione all’infinito, o ad libitum, delle inchieste giudiziarie specie quando pestano solo acqua nel mortaio.
Il nuovo appello offre una idea di un modo di fare piuttosto disinvolto e poco costruttivo da parte di chi lo ha lanciato. L’anno scorso, di ritorno da un nuovo incontro con Alì Agca, il terrorista turco che nel 1981 sparò a papa Wojtyla ferendolo gravemente e che è tornato in patria perché graziato in occasione del Grande Giubileo del 2000, Pietro Orlandi dichiarò che Agca sapeva che sua sorella era viva e che si era impegnato a farla “tornare a casa entro la fine dell’estate”. Non era certo la prima volta che Agca raccontava quella frottola, diventata il suo cavallo di battaglia per non finire nel dimenticatoio.
Eppure, una volta tornato in Italia, Orlandi ha cominciato ad accusare su giornali e tv i magistrati di non averlo convocato per sapere cosa mai gli avesse rivelato Agca. Il quale non aveva fatto altro che rimestare nel solito pentolone con dentro i servizi segreti italiani “deviati”, la Cia, la massoneria, le mafie, ovviamente lo stesso Vaticano, ecc.
“Ma cosa aveva da dirci di così importante?”, gli ha infine chiesto a palazzo di giustizia un magistrato piuttosto sorpreso da tanto dinamismo accusatorio. “Oh, beh, nulla”, è stata l’imbarazzata risposta. Una volta archiviata l’inchiesta – le previsioni sono per gennaio/febbraio dell’anno prossimo – sarà difficile che Pietro Orlandi continui ad apparire in televisione, ospite pressoché fisso prima di “Chi l’ha visto?”, poi di “Quarto Grado” a Canale 5, infine di recente nuovamente ospite di “Chi l’ha visto?”, che gli ha posto la precisa condizione di smetterla con l’andare dal concorrente a Mediaset.
Dopo avere suonato la grancassa per sette anni di fila contro De Pedis e i sui “misteri” della sua sepoltura nella basilica di S. Apollinare, sarà dura anche per “Chi l’ha visto?” dover rinunciare a un tale Viagra per l’audience. Ecco spiegati i motivi di questo vero e proprio “accanimento terapeutico” sul cadavere di piste – altre otto negli ultimi 12 mesi – che sono sempre state scoop di panna montata o depistaggi finiti nel nulla.
Oltre all’archiviazione è in arrivo anche un canto del cigno: il regista Roberto Faenza sta lavorando a un film che, ci ha spiegato, “non è a tesi, vengono esaminate le varie ipotesi sul caso Orlandi, insomma è costruito un po’ come il film Rashomon”.
Diventato famoso anche in Italia, Rashomon, del regista giapponese Akiro Kurosawa, è un monumento alla relatività, alla parzialità e alle infinite sfaccettature di ciò che si usa chiamare verità. Il film di Faenza sarà l’ultimo fuoco e il consuntivo di uno show durato 30 anni. E che ha il record della varietà e diversità dei canovacci man mano messi in scena.
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