Uno squarcio nel mistero di Emanuela Orlandi viene aperto, a 30 anni dalla scomparsa, dalla memoria di una donna che ebbe un ruolo chiave nelle indagini nelle prime ore che seguirono il rapimento. La voce è quella di Margherita Gerunda, ex pubblico ministero.
Margherita Gerunda è convinta che Emanuela Orlandi fu attirata in un agguato, violentata e uccisa o comunque morì per le violenze subite. Non è l’idea di uno dei tanti improbabili supertesti che si sono seguiti sugli schermi della tv in crescendo. Chi parla è un magistrato che ha lavorato con impegno e onore alla Procura della Repubblica di Roma per molti anni.
“Emanuela Orlandi era fisicamente sviluppata e graziosa, con lunghi capelli scuri e un viso sorridente. Certamente i ragazzi dovevano trovarla attraente e purtroppo la trovò attraente anche chi ragazzo non era. Mi feci subito l’idea, come del resto tutti gli investigatori, che la ragazza fosse stata attirata in un agguato, violentata e uccisa, comunque morta in seguito alle violenze. Certo non ci sentivamo di esternarlo perché sarebbe stato crudele nei confronti della famiglia. Tale convinzione è tuttora confermata dai fatti successivi”.
Margherita Gerunda, si è occupata per prima, in qualità di pubblico ministero, della scomparsa di Emanuela Orlandi. In effetti, della scomparsa di Emanuela Orlandi cominciò a occuparsi la Squadra Omicidi della Questura di Roma, segno della piega presa dalle indagini.
Decisa a fare indagini senza lasciarsi condizionare dai clamori suscitati dalla pista del “rapimento politico” per la liberazione di Alì Agca, il terrorista turco condannato all’ergastolo per avere sparato a Papa Wojtyla nell’81, Margherita Gerunda venne sostituita dalla Procura della Republica quando chiese il silenzio stampa in occasione dell’arrivo del primo “komunicato” firmato dal fantomatico Fronte Anticristiano Turkesh.
“Prima che i giornali ne parlassero volevo capire se esistesse, cosa fosse e perché fosse entrato in scena il cosiddetto Fronte Turkesh”, ricorda Margherita Gerunda.
Oggi sappiamo che quei “komunicati”, scritti a bella posta in un italiano sgangherato, erano fabbricati dai servizi segreti dell’allora Germania comunista, la famosa Stasi del leggendario Markus “Misha” Wolf, per creare confusione in un caso che per motivi mai chiariti poneva comunque in imbarazzo il Vaticano e per alleggerire la pressione dei mass media sulla cosiddetta “pista bulgara”. Si tratta della pista che voleva Agca armato dai servizi segreti dell’allora comunista Bulgaria per conto del governo dell’Unione Sovietica preoccupato per il sostegno dato da Wojtyla al movimento anticomunista e antisovietico della natia Polonia, all’epoca parte integrante del blocco guidato da Mosca.
“I media erano scatenati e davano continuamente notizie del tutto prive di riscontro. Erano notizie che, obiettivamente, creavano confusione e nuocevano alle indagini”, prosegue Margherita Gerunda:
” Se non ci fosse stato questo assedio le indagini avrebbero potuto avere un qualche esito tempestivo. Lo dico sulla base della mia esperienza, che all’epoca era già notevole. Interpretai il mio essere tolta dal caso Orlandi come la precisa volontà di assecondare i clamori e sposare in pieno la pista del rapimento politico per lo scambio con Agca. Direi che oggi non è cambiato nulla. Con continui colpi di scena uno meno credibile dell’altro si vuole evitare che i magistrati possano lavorare senza intralci su piste non di fantasia”.
La pista del rapimento è nata con la convinzione che quel giorno Emanuela Orlandi sia stata adescata con la proposta di distribuire volantini della ditta di cosmetici Avon in cambio di ben 375 mila lire dell’epoca, come dire più o meno 2.000 euro di oggi. Di tale offerta parlò la stessa Emanuela Orlandi al telefono con la sorella Federica verso le 19 di quel disgraziato 22 giugno.
“Non ho mai avuto alcun elemento per appuntare l’attenzione sulla ditta Avon. Nessuno me ne parlò”, è la rivelazione di Margherita Gerunda, che aggiunge:
“Non credo inoltre che quel giorno Emanuela Orlandi sia andata alla scuola di musica passando per corso del Rinascimento, dove si usa credere che sia stata vista da un vigile e da un poliziotto. Ho maturato la convinzione che i testimoni si siano prestati a dire o a confermare cose che permettevano loro di andare sui giornali, dare interviste, insomma avere il loro piccolo momento di fama se non di gloria. Per uscire almeno una volta nella vita dall’anonimato e sentirsi protagonisti, alla ribalta, partecipi di una storia che interessa molta gente»
Dopo una pausa, la signora Gerunda riprende il filo dei ricordi:
“Nei casi di scomparsa di minorenni bisogna essere molto laici, con indagini anche negli ambienti vicina alla famiglia dello scomparso, come dimostrano anche casi recenti. Per esempio, il 20 ottobre dell’anno successivo a quello della scomparsa di Emanuela Orlandi, il 1984, la giovanissima Stefania Bini stava anche lei aspettando l’autobus, in piazza Cavour per andare al liceo. Passò suo zio Mario, di cognome Squillaro, che le offrì un passaggio in auto. Invece la portò a casa sua e la sera stessa, la uccise con un colpo di pistola in testa. Evidentemente ispirato dalla pista turca del caso Orlandi, zio Mario disse ai genitori della povera Stefania che la ragazzina era stata rapita da un gruppo di turchi e che per liberarla volevano 600 milioni. Per fortuna confessò subito non appena venne arrestato mentre ritirava la prima rata del riscatto”.
La morte di Emanuela Orlandi non è dunque solo una convinzione estemporanea dell’ultima ora del procuratore aggiunto di Roma Giancarlo Capaldo, che si occupa oggi del caso di Emanuela Orlandi insieme con il sostituto procuratore Simona Maisto e che ne ha parlato pubblicamente il 21 giugno in occasione di un recente convegno.
Le parole di Giancarlo Capaldo hanno suscitato la risentita protesta di Pietro Orlandi, che invece è apparsa fuori luogo, visto che a parlare per primi di morte di Emanuela sono stati di fatto gli stessi Orlandi quando hanno condiviso la proposta, annunciata nella puntata del 19 giugno di “Chi l’ha visto?”, di “una Messa di suffragio per Emanuela, Mirella e Josè”.
Le messe di suffragio si celebrano infatti per i defunti, non per i vivi. Mirella Gregori, che la vulgata vuole rapita insieme con Emanuela anche se una sentenza istruttoria del dicembre ’97 ha escluso che i due casi fossero collegati e che fossero rapimenti politici. La stessa conclusione è stata indicata dall’avv. Gennaro Egidio, legale sia degli Orlandi sia dei Gregori.
José Bulanti Garramon è il ragazzino di 12 anni, di cognome , investito con l’auto e ucciso nel dicembre ’83 dal fotografo romano Marco Fassoni Accetti, oggi alla ribalta per essersi auto accusato di complicità nel rapimento delle due ragazze. Le rivelazioni di Marco Fassoni Accetti presentano contorni assai improbabili, che in Procura convincono assai poco. Tra le tante cose iperboliche riferite da Marco Fassoni Accetti c’è il fatto che Emanuela Orlandi sarebbe stata consenziente nel farsi rapire.
Una Messa a suffragio per tutti e tre significa unire nella morte con José anche le due ragazze, che invece non sono mai state ritrovate e i cui corpi non hanno mai ricevuto sepoltura, per giunta suggerendo il sospetto di un unico colpevole.
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